Lando e Zora
[Racconto pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 5/2013, La gioia dell’incontro]
«Papà, cosa sono Lando e Zora?»
Quando un figlio domanda qualcosa al padre, significa che Wikipedia non è aggiornata.
Tuttavia no, il padre non conosce Lando e Zora, anche se li ha sentiti nominare e sa che cosa sono stati; è perplesso e non cede all’istinto di chiedere con fare indagatorio: «Chi ti ha parlato di Lando e Zora?». Il figlio ha dodici anni.
All’inizio, c’è una partita di calcio. Quando ha dieci anni e ritorna a casa dall’esibizione di fine anno (sono ancora “pulcini”, il campo è piccolo, l’arbitro lo fa un genitore, non c’è un campionato vero e proprio), siede sul tappeto della sua stanza e si ritrova con il pisello duro. Lo tocca, lo solletica. Scopre che muovendo la pelle – come si chiama? Cos’è questa roba? – su e giù verso la punta, be’… va in bagno, si chiude. Siede sul water, allunga la schiena, incomincia il movimento deciso, stringe forte, su e giù. Esplode silenzioso nel primo orgasmo della sua vita. Non ha bene idea di cosa sia successo, è in estasi e c’è da immaginare la faccia con cui sua madre, pochi minuti dopo, lo ha ritrovato disteso sul tappeto. Il sorriso beato, lo sguardo da idiota.
La prima sega.
L’istinto alla sega successiva arrivava dalla visione di immagini di donne nude nel compimento di un atto sessuale.
«Te le fai le seghe?», chiedevano a scuola i ragazzini gli uni agli altri, la maggior parte con il ghigno.
Le donne nude nel compimento di un atto sessuale apparvero in un frigorifero. A quel tempo, uno zio aveva affittato un piccolo capannone nel cortile della sua cascina a un’officina meccanica e per i meccanici aveva costruito un cesso raffazzonato con i pezzi di scarto della costruzione di cessi precedenti suoi e dei famigliari prossimi. Ci aveva messo anche un frigorifero, nel bagno accanto al capannone, così che i meccanici ci tenessero le birre o la coca cola. E i giornali porno.
«Zio, vado in bagno», diceva quando passava l’estate in cascina; solo che non ci usciva più, dacché aveva trovato, cercando un bicchiere di Estathè, il regno del suo dio.
«Le Ore», «Playboy»: giornali che costavano un mucchio di soldi (non se li sarebbe mai potuti permettere con la paghetta settimanale), pieni di foto di donne bellissime con le tette enormi e le gambe da modella, lo smalto sulle unghie e una serie di piselloni giganti infilati ovunque.
Lo zio andava a chiamarlo: «Franco, ci sei? Sei lì?», e Franco taceva, poi diceva: «Sì, ci sono», a voce bassa, vergognato, aveva capito che lo zio aveva capito che lì dentro s’infilava per farsi le seghe. Chissà se anche lo zio si faceva le seghe con i giornaletti porno dei meccanici. Se davvero erano dei meccanici e non suoi.
«No, non me le faccio le seghe», rispondeva ai compagni di classe, un po’ ingrugnito.
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