La vita da fermo e dietro una maschera. “Le parole lo sanno” di Marco Franzoso
Le parole lo sanno (Mondadori), ultimo romanzo di Marco Franzoso, è la storia di due anime che s’incontrano.
Il protagonista è Alberto, un medico al quale viene improvvisamente diagnosticato un cancro incurabile al colon. Consapevole d’avere i giorni contati, decide di affrontare la malattia in solitudine: acquista un paio d’occhiali scuri e un bastone e, fingendosi cieco, inizia le sue deambulazioni per la città, che ben presto trovano nella panchina d’un parco il loro centro gravitazionale.
«Volevo un posto isolato dove poter riflettere su come gestire il resto della mia vita, se intraprendere le cure o lasciare perdere. E poi, decidere come comportarmi con la mia famiglia. Era importante capirlo subito.
Il parco era la scelta migliore. Sarei tornato alla panchina, in quella zona che avevo frequentato anche da ragazzo. Un luogo lontano dove mi sentivo a casa.»
Qui incontra Flavia, una giovane mamma che presto diventa la persona con cui trascorre le sue giornate, tra confessioni, silenzi a occhi chiusi, sguardi discreti e fuggitivi.
«Dietro quegli occhiali grandi e pesanti il paesaggio appariva diverso da come lo conoscevo. Gli alberi, le persone, il cielo, tutto risultava offuscato. […] Mi sono girato verso di te e istintivamente mi sono vergognato. Mi sono sentito smascherato, con gli occhiali e il bastone, pensavo fosse evidente che non erano miei, ma non avevo voglia di parlare, né di dare tante spiegazioni.»
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Ed è proprio dietro alla maschera degli occhiali che Alberto vede questa sconosciuta, e la realtà circostante (sconosciuta anch’essa a causa della malattia che ha deformato ogni cosa), come qualcosa di inedito e al contempo nudo, come se quella falsa cecità fosse in grado di fargli finalmente scorgere e capire la verità.
«In quel momento ti ho vista. Sai come dicono, che capiamo tutto di una persona. Ecco, magari avevo intuito ogni cosa anch’io.
Eri bella, mi sono detto, di una bellezza non appariscente. Una ragazza ordinaria di trent’anni, una giovane madre dagli occhi neri e i capelli castani, che indossava una camicia chiara e una lunga gonna a fiori da zingara. Davanti a te una carrozzina. Sulle gambe un libro, La camera azzurra. L’avevo letto anch’io, all’epoca in cui avevo tempo per leggere, secoli prima.»
Da questo momento, il parco diventa per Alberto l’occasione per i suoi incontri quotidiani con Flavia, in una primavera in cui il mondo sboccia mentre il suo fisico si consuma. E la panchina diventa il guscio di noce dove poter parlare di sé e nello stesso tempo ascoltare la storia di Flavia, attraverso i riflessi verdi del parco, il suono delle acque del Lambro, il veleggiare d’un cigno sotto a un ponticello di legno.
Fingendo che si tratti d’un diario abbandonato e ritrovato da un estraneo proprio sulla panchina del parco, Le parole lo sanno, di Marco Franzoso (premio Mondello per L’innocente, sempre edito da Mondadori), è narrato in prima persona da Alberto, e non si rivolge a un lettore qualsiasi, ma alla stessa Flavia: il libro quindi, che racconta d’un incontro fra due sconosciuti che diventano confidenti l’uno dell’altra, è strutturato come la confessione d’una confessione. D’un uomo che sa di dover morire e che per questo ha deciso di raccontarsi, al di là d’ogni finzione e convenzione, alla persona che ha incontrato per caso e che, per un gesto dello stesso Alberto, alla fine perderà.
«All’improvviso mi è apparso il mondo in tutta la sua incontenibile ricchezza e bellezza. Ho inspirato. Il cielo era d’un azzurro compatto, quasi palpabile, sembrava una membrana trasparente a mollo sopra l’acqua immobile d’un mare senza orizzonte. Se ne stava appoggiato sopra gli alberi, che mi parevano presenze scultoree giganti, dolmen preistorici finiti fuori dal tempo, come certe colonne greche corrose dal vento e ricoperte di edera.
Quante cose, Flavia, dentro un respiro, o uno sguardo.
Ora vedevo.»
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Con Le parole lo sanno, Marco Fanzoso ci consegna una narrazione scritta in un linguaggio chiaro e pulito, che arriva dritta al punto, e che racconta i giorni osservati da chi, consapevole di avere le ore contate, incontra per sincronicità una persona che sembra l’anima perfetta a cui raccontare la propria storia: ma che svanirà a sua volta, come la vita stessa.
D’altronde, come dice il titolo del libro, le parole lo sanno. Che la vita ha bisogno di soste, per essere capita. E di punti d’osservazione nuovi, fossero anche paradossali come un parco guardato da dietro due lenti scure.
Perché, come diceva un famoso scrittore, per non mentire più è necessario indossare una maschera.
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