La vita appassionata di Charlotte Brontë raccontata da Lyndall Gordon
Intervista realizzata con la collaborazione di Sara Minervini.
Lyndall Gordon è una regina delle biografie. Nata in Sudafrica, lascia Capetown alla volta della Columbia University, per un dottorato in letteratura americana. Negli anni Settanta si trasferisce a Oxford, dove da molti anni insegna letteratura inglese. Lungo la sua intensa carriera accademica, ha scritto di Emily Dickinson, Virginia Woolf, Henry James, T.S. Eliot, Mary Wollstonecraft.
Esce ora per Fazi, nella traduzione di Nicola Vincenzoni, Charlotte Brontë, una vita appassionata (la prima edizione inglese è del 1994). Il 2016 è il bicentenario della nascita di Charlotte Brontë, la più longeva tra i fratelli Brontë e, come ci racconta l’ampia e accurata biografia dedicatale da Lyndall Gordon, anche la più tenace. L’eredità che Lyndall Gordon prova a scalfire è quella di Elizabeth Gaskell, contemporanea e amica di Charlotte Brontë, che le dedicò un ritratto dove si privilegiavano gli aspetti più malinconici e mesti della scrittrice (probabilmente, d’accordo con la volontà della stessa Charlotte). La tesi di Lyndall Gordon è che invece la scrittrice fosse una donna vulcanica, al riparo dai costumi della vita sociale vittoriana, e ben determinata a lasciare il segno con la sua scrittura.
L’incontro con Lyndall Gordon al Salone del Libro di Torino, avviene alla fine di una vivace presentazione insieme alla scrittrice Rosa Matteucci. Lyndall ha una pazienza britannica, un accento oxfordiano marcato ed è squisitamente cortese quando, dopo aver firmato una ventina di copie del suo libro, risponde alle domande di Sul Romanzo.
In un’intervista ha dichiarato che un biografo deve essere innanzitutto un grande lettore e un amante della lettura. Pensa che occorra qualche altra caratteristica per poter entrare nella vita di qualcun altro?
Sì. Innanzitutto, come biografo non devi identificarti mai con l’artista di cui scrivi. Devi provare ad abbandonare te stesso e avvicinarti al personaggio. Rimanere fermo e vedere cosa accade. È un processo molto vicino a quello di un lettore serio: qualcuno che sta un passo indietro e osserva per capire.Inoltre, per essere un buon biografo, occorre saper affrontare un percorso di investigazione e saper sottoporsi a continui esercizi di scoperta. Ci vuole una curiosità intensa, un forte desiderio di sapere, prima di interpretare. Tutto questo, insieme alla capacità di formulare le domande “giuste”, per riuscire a sapere.
Perché ha deciso di scrivere di Charlotte Brontë e in che periodo della sua vita ha maturato questo proposito?
Sono sempre stata interessata alla vita delle scrittrici e delle donne. Ma ho iniziato con lo scrivere di uomini, quando ero una studentessa. Ho scritto di T.S. Eliot, focalizzandomi sulle donne della sua vita. Poi è venuto Henry James. Quando ho iniziato a lavorare su Charlotte Brontë, stavo pensando a un libro su quattro donne vittoriane, e lei sarebbe stata la prima. In generale, volevo raccontare di donne che avevano lottato per far emergere la propria voce, andando contro i costumi del proprio tempo. Charlotte Brontë ha dovuto nascondersi dietro lo pseudonimo maschile di Currer Bell. Allo stesso modo dovette fare George Eliot (il cui vero nome è Mary Anne Evans). E anche la “superfemminista” Olive Schreiner ha firmato il suo Storia di una fattoria africana come Ralph Iron negli anni Ottanta dell’Ottocento. Virginia Woolf ha scritto pagine molto importanti, a questo proposito, in Una stanza tutta per sé; in particolare quelle dedicate a un’ipotetica sorella di Shakespeare. (NdR: secondo Virginia Woolf, Judith, questa sorella d’invenzione, anche se fosse stata talentuosa come il fratello, non avrebbe mai potuto comporre quelle opere, perché in quanto donna non ne avrebbe avuto la possibilità).
Come mai fra le sorelle Brontë ha scelto proprio Charlotte?
Una delle ragioni è legata a un ricordo di ragazza. Quando ero a scuola, e vivevo a Città del Capo, presi parte a una recita dal titolo Le sorelle Brontë, in cui impersonavo lei. In realtà ho ammirato tutte le sorelle e avrei potuto scegliere anche una delle altre. Ma fui davvero colpita dalla personalità di Charlotte: una donna che a 20 anni scrisse al poeta ufficiale della Gran Bretagna, Robert Southey, dicendogli «voglio essere conosciuta per sempre». Fra le sorelle fu senz’altro quella più ambiziosa. Ed era la più femminista. Pensiamo ad esempio al romanzo Shirley (sempre pubblicato da Fazi, NdR).
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L’istruzione è un aspetto fondamentale nella formazione di ogni scrittore. Come descriverebbe l’istruzione di Charlotte Brontë?
Lei fu mandata in diversi istituti, insieme alle sue sorelle. Due di loro morirono bambine, nella prima scuola in cui si trovavano. Fu tutto molto penoso. Successivamente studiò il francese a Bruxelles, in un altro istituto. Ma niente di tutto ciò ha a che fare con una vera istruzione. Penso che possa essere considerata un’autodidatta. Del resto, era veramente poco usuale che una donna godesse di un’istruzione superiore, come per esempio accadde eccezionalmente a Emily Dickinson negli anni Quaranta dell’Ottocento.
In Italia, Charlotte Brontë è conosciuta principalmente per essere l’autrice di Jane Eyre. Di recente e grazie all’impegno dell’editore Fazi, si stanno diffondendo anche le altre sue opere: Shirley, Villette, e da pochissimo Il professore. In che misura è importante recuperarle e leggerle oggi?
È fondamentale, perché Jane Eyre non è venuto dal nulla e non è un caso isolato. La medesima voce veemente, onesta, vulcanica, ha firmato gli altri romanzi. A partire da Il professore, ci troviamo davanti a una scrittura “femminista” e a una voce non convenzionale. In questo primo romanzo, ad esempio, verso la fine i due protagonisti, Frances e Williams (entrambi isegnanti) si sposano. Per William è normale che sua moglie smetta di insegnare. Nell’Ottocento un uomo pensava di dover proteggere una donna. Ma Frances gli risponde che quello non può essere il suo futuro, perché lei non può stare senza fare nulla. «Se non lavoro sarò depressa», gli dice. E questo è davvero un messaggio molto innovativo, radicale, per quei tempi.
Conosciamo gli amori narrati da Charlotte Brontë. Ma quanti, quali e come furono gli amori della donna dietro la narratrice?
Quello degli uomini è un argomento centrale per quanto riguarda Charlotte Brontë. Lei aveva una natura appassionata. Come capita a molte donne, si sentiva affascinata da uomini inadatti a lei. D’altra parte era attratta dagli uomini che la incoraggiavano a scrivere. Come dicevo, ebbe la fortuna di andare con sua sorella, tra il 1842 e il 1843, a Bruxelles. Qui si innamorò del suo insegnante di francese, che le trasmise l’importanza e la disciplina a cui bisogna sottoporsi per scrivere. Lo chiamava “Monsieur”. È lui che le ha insegnato il rigore e la fiducia nella scrittura. Questo le accadde anche col suo editore, un uomo che ebbe la capacità di riconoscere che Jane Eyre era un grande romanzo. Anche lui voleva che lei eccellesse, ma era un uomo tradizionale. E lei ben presto capì che lui avrebbe sposato una donna più giovane e con una dote.
Diversamnete da loro, suo marito fu invece un uomo solido, fedele. Intellettualmente non era un suo pari, ma fu quello che la rese felice. A un certo punto, Charlotte Brontë scelse la vita rispetto all’arte.
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