La vecchiaia: l’avanzata e l’arretramento della vita. “Tempo curvo a Krems” di Claudio Magris
Da sempre c’è un desiderio che ossessiona i comuni mortali: scoprire l’elisir di giovinezza o una qualsiasi formula in grado di fermare il processo di avvizzimento degli esseri umani, avvicinandoli alle divinità della mitologia greca. Oggi, malgrado i progressi scientifici, ciò permane un miraggio e tutti noi, o prima o poi, dobbiamo fare i conti con la vecchiaia che irrompe, inesorabile, nella vita, costituendone un pezzo importante e imprescindibile. Un momento a cui nessuno può sottrarsi quando si manifesta sul corpo, ma anche sulla mente e sull’anima, mostrando le sue contraddizioni: gli anni avanzano ma allo stesso c’è un arretramento dei pensieri, si riavvolge il nastro. Si cammina in avanti ma con la testa girata indietro. Ed è a quel punto che il tempo sembra trasformarsi, accelerando e rallentando, dilatandosi e accorciandosi, diventando passato, presente e un futuro a breve termine.
«E le pagine invecchiano come le cose vive; fanno orecchie d’asino, si sgualciscono, avvizziscono. Come la mia pelle, pensa, osservando il dorso rugoso della sua mano.»
Ed è proprio questo il fulcro di Tempo curvo a Krems (Garzanti, 2019), l’ultimo libro di Claudio Magris che, attorno a questo tema, sceglie di costruire delle riflessioni – scientifiche, letterarie, storiche e filosofiche – attraverso una raccolta di racconti: Il custode, Lezioni di musica, Tempo curvo a Krems, Il premio edEsterno giorno – Val Rosandra. Seguendo il flusso dei pensieri dei cinque personaggi, emerge una visione individuale del tempo che si manifesta come bilancio della loro esistenza, rievocazione di passate esperienze, descrizione del loro presente e anche narrazione di eventi storici che hanno condizionato l’intera umanità, quali l’Olocausto e la Grande Guerra.
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Ogni racconto rappresenta un percorso tra i ricordi intrisi di paure, fragilità ed emozioni legate alle relazioni, una narrazione che si snoda in atmosfere che in alcuni passaggi sembrano appartenere alla fantasia o al mondo onirico, in altri, invece, ci conducono tra le rocce del Carso o tra le strade e i palazzi della città di Trieste, di cui l’autore offre delle immagini così vivide che dalle pagine sembrano arrivare al lettore il profumo del mare, il suono del vento e il fragore delle onde.
Ad accomunare i protagonisti è il loro trovarsi faccia a faccia con la vecchiaia da cui però emerge un vissuto diverso, che si riflette quindi anche in un rapporto differente con il tempo: c’è il ricco imprenditore che, diventato anziano e senza dire nulla ai familiari, svolge il ruolo di portinaio di un palazzo di sua proprietà, vivendo quella fase della vita come una liberazione dal peso del potere e delle sue precedenti responsabilità; poi c’è un ex Maestro del Conservatorio che, durante un incontro con un suo ex allievo divenuto un celebre violinista, cede a uno sguardo ambiguo e imbarazzato; troviamo poi il personaggio principale del racconto da cui è tratto il titolo del libro, un professore che, chiamato a tenere una conferenza su Kafka, si ritrova, per una serie di incontri casuali, a fare i conti con il ricordo di un amore impossibile e adolescenziale; reminiscenza che lo conduce a una serie di riflessioni sul tempo legate a concetti della fisica:
«Il tempo è signore della causalità: una causa produce un effetto e dunque lo precede, viene prima di esso. Ma da un effetto si risale alla causa che l’ha prodotto; quella familiarità al telefono era dunque l’effetto di una conoscenza reciproca che per forza doveva esserci stata nel passato e quindi modificava quest’ultimo, risaliva nel tempo a creare, decenni addietro, qualcosa che allora non c’era stato.
[…] due eventi, i quali non possono essere collegati attraverso un segnale causale viaggiante con velocità minore o uguale a quella della luce, non possono essere ordinati nel tempo in modo assoluto.»
Nella successiva storia invece conosciamo uno scrittore di origini ebraiche che, in occasione di una premiazione, mostra la sua insofferenza all’ambiente letterario e preferisce la semplicità degli ambienti di una pensione alle tentazioni di fama e opulenza offerte dal magnate di turno. L’ultimo protagonista è invece un sopravvissuto alle ecatombi del Carso, che rivive alcuni momenti della sua giovinezza grazie alla sceneggiatura di un film.
«Strati di tempo s’interpongono tra lui e la sua, la loro storia di allora; veline sempre più sbiadite di un presunto foglio originale. La stessa storia, no, non la stessa, ora più incerta ora più imperiosa, qualche brandello illeggibile, qualcos’altro più chiaro. Altre parole, altre cose nella sua testa si sovrappongono a quelle che sta leggendo; non molto diverse, quasi le stesse ma non le stesse, dolorosamente altre.»
Malgrado la diversità dei percorsi, tutti i personaggi sono portatori di antiche cicatrici che, però, nella vecchiaia assumono un significato diverso, si trasformano, divenendo in alcuni casi una liberazione da un peso, in altri una vera e propria rivelazione del significato di tutto ciò che, fino a quel momento, era apparso loro insensato. In questo modo l’autore rompe la visione dell’invecchiamento come semplice fine di un’esistenza, erigendola a chiave di lettura di ciò che ha attraversato le loro esistenze. Ciò vale per tutti i protagonisti che esprimono, con le loro riflessioni, gli interrogativi a cui tutti noi ci sottoponiamo in relazione a grandi temi quali l’amore, l’amicizia, il successo, il lavoro, il matrimonio, le guerre e i rapporti familiari.
Con un linguaggio delicato e profondo, Magris scava nell’animo umano senza mai scadere nella retorica né nella monotonia, nemmeno quando si addentra in discorsi complessi, appropriandosi di concetti filosofici o della fisica. Tutte le ottantotto pagine che compongono l’opera sono intrise di malinconia e nostalgia, ma non per ciò che è stato, piuttosto per tutto ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, e in qualche modo anche per ciò che potrebbe essere in futuro ma che non sarà, perché in fondo la clessidra della vita si sta piano pianto svuotando.
Nonostante ciò, alla fine della lettura c’è una consapevolezza che s’impossessa del lettore ed è quella di una visione nuova della linea spazio-tempo, che non appare più come qualcosa di ordinato e razionale, ma come un intreccio di eventi, immagini, emozioni, volti, a cui ognuno di noi può dare una collocazione diversa nella propria mente, arrivando anche a rendere il proprio passato un’entità estranea, appartenente a un altro individuo o a trasformarlo in un presente realizzato grazie ad azioni dettate dalla casualità.
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Tutto quindi dipende dallo sguardo che si decide di gettare sul proprio tempo, vissuto e non, e su quello in corso, che può rappresentare la fine di tutta l’esistenza, l’invecchiamento del corpo e dell’anima, ma anche il fiume della vita che, mentre avanza negli anni, arretra tra i ricordi, rinnovandosi di nuove consapevolezze e, infine, regalando agli individui libertà e leggerezza.
«Nella foglia che muore, spiega ai discepoli, c’è il sole che l’ha scaldata, la nuvola che l’ha dissetata con la pioggia, la terra che l’ha nutrita; la foglia restituisce le cose e gli eventi che l’hanno costituita e sono, continuano a essere lei. Eterna impermanenza, eternità di ogni cosa.
Eterno dileguare, eterno essere; il fiore muore nel frutto, dunque è il frutto…»
Per la prima foto, copyright: Galen Crout su Unsplash.
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