La tragedia del Vajont: in mostra le carte della verità
A chiusura delle diverse iniziative promosse per ricordare il 50° anniversario della catastrofe del Vajont, avvenuta il 9 ottobre 1963, lo scorso 17 dicembre è stata ufficialmente aperta al pubblico la mostra Le carte del Vajont: dalla diga al processo. Studi preliminari, appunti, disegni, carteggi, faldoni processuali, filmati: la tragedia scorre sotto gli occhi, tra le carte sbiadite, tra le perizie giudiziali, solo in apparenza professionali e asettiche ma che riverberano e amplificano l’indignazione, la rabbia e il coinvolgimento emotivo dello spettatore in seguito a questo disastro “annunciato”.
L’evento è patrocinato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dagli Archivi di Stato di Belluno e de L’Aquila e dalla Fondazione Vajont. Protagonisti della cronistoria della catastrofe i 256 faldoni in possesso dell’autorità giudiziaria e conservati fino al 2009 nell’Archivio di Stato a L’Aquila. Si era tenuto in quella città il processo penale per «cooperazione per disastro colposo, inondazione, omicidio e lesioni colpose plurime». Le carte sono arrivate a Belluno qualche mese dopo il terremoto in Abruzzo. L’archivio era rimasto sotto le macerie del Palazzo del Governo e della Prefettura, ma le carte si erano salvate, in quanto conservate in archivi blindati.
Il percorso della mostra, che rimarrà visitabile fino al 23 gennaio 2014, si articola in quattro sezioni: nella prima, si espongono i documenti relativi alle tappe attraverso le quali si passò, dal 1925 al 1957, alle varie progettazioni della diga del Vajont, fino alla sua realizzazione (tra il 1958 e il 1960); nella seconda, si presentano corrispondenze, rapporti e perizie relativi alla pericolosità del bacino artificiale, all’individuazione della “frana preistorica” fino alle analisi dei periti giudiziali; nella terza, si evidenziano le caratteristiche della frana staccatasi dal monte Toc, sulla sponda sinistra del bacino idroelettrico, nonché le testimonianze di persone protagoniste a vario titolo dei momenti successivi al disastro; nella quarta, infine, è possibile seguire le fasi del lungo iter processuale, dall’ordinamento dei documenti sequestrati dal Giudice Istruttore fino all’ultima e definitiva sentenza in Corte di Cassazione.
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Tra le carte in esposizione la perizia geologica redatta da Giorgio Dal Piaz nel 1928, i quaderni con gli appunti dell’ingegner Carlo Semenza, progettista della Sade, e ancora i verbali della polizia stradale dopo i sopralluoghi e la raggelante lettera di Dal Piaz a Semenza in cui il geologo confessa che la prospettiva di alzare il fronte della diga a 255 metri (in seguito elevato ai definitivi 264,50) gli fa «tremare le vene e i polsi».
Molti anche i reperti visivi (foto e filmati) provenienti dal fascicolo processuale, finora mai esposti al pubblico, che confluiranno nel più vasto progetto denominato Archivio diffuso del Vajont. Da alcuni anni è, infatti, in corso la riproduzione digitale di tutti i faldoni del processo; materiali tramite i quali sarà possibile ricomporre il disperso mosaico delle fonti e che possiede una straordinaria valenza storica e civile, tardivo risarcimento nei confronti della popolazione bellunese.
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