La tecnica è fondativa del pensiero e della riflessione umani? “Psiche e techne” di Galimberti
Uno dei problemi nodali da sempre scaturigine di vivaci dibattiti filosofici è stata la questione originatasi intorno alla relazione tra azione e pensiero, tra psiché e tèchne. Il dualismo che determina di prima facie l’essenza umana viene analizzato in un’ottica particolarmente interessante da Umberto Galimberti nel saggio Psiche e techne, l’uomo nell’età della tecnica (edito da Feltrinelli nel 1999) in cui, mutatis mutandis, prosegue, in maniera originale, gli studi già avviati nell’ambito della tecnica da parte di Emanuele Severino. In questo articolo vorremmo soffermarci su alcuni punti che abbiamo ritenuto di vitale importanza nell’ineccepibile saggio di Galimberti.
Il docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia pone in evidenza come la tecnica appartenga all’essenza dell’uomo (Wesen) in quanto, a differenza dell’animale che agisce in maniera istintuale e si trova a vivere nell’ambiente che gli è precipuo, l’essere umano, manchevole di una propensione istintuale pari a quella animale, deve necessariamente creare nel mondo (Welt) che lo circonda un ambiente (Um-welt) a lui confacente. Ciò è possibile soltanto attraverso l’azione tecnica – e di dominio tecnico – dell’uomo sulla realtà esistente intorno a lui. L’anima che è da sempre stata considerata come la realtà che permette di discernere tra individuo umano e individuo animale diviene dunque la «memoria delle operazioni tecniche» poiché è appunto l’insufficienza biologico-istintuale del primo a renderlo tale. Se nell’animale la regolarità del comportamento, prosegue Galimberti, è garantita dall’istinto, nell’uomo detta regolarità è ciò che è costante nella successione reiterata delle azioni – l’abitudine. Quest’ultima non è che la trasposizione fuori-di-sé del ritmo corporeo-in-sé – tanto che il termine “anima” ha come etimo il termine greco “anemos” che indica il respiro, il quale ha un preciso ritmo.La ricerca della regolarità è possibile solo grazie all’operare tecnico che risulta fondativo della ragione la quale è il risultato naturale a cui approda il corpo umano, privo com’è di una sua istintualità fisiologica.
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In conseguenza a quanto affermato si crea un circolo per il quale non si dà ragione se non come procedura tecnica e non si dà tecnica se non come esercizio della ragione e a saldarlo viene in aiuto la previsione. Essa si traduce nella capacità umana di trovare dei nessi causa-effetto tra due eventi supposti consequenziali – o, meglio dire, che l’abitudine porta a supporre consequenziali, come ci insegna la lezione humiana. Questa capacità nasce da un’esigenza umana, ossiala volontà di sottrarre la realtà al mondo angoscioso del destino che opera in maniera irrefutabile (Dìke, nel mondo greco, che agisce per Ananke, ossia necessità) ma casuale per l’uomo. Dallo sfondo della necessità di abbandonare questa realtà disordinata in modo casualistico a favore di un Um-welt determinato in maniera causalistica discende la volontà umana di razionalizzare e controllare gli eventi grazie alla tecnica, nonché tutto l’ambiente che circonda l’individuo, ambiente che viene plasmato e modificato dalla mano umana – anello di congiunzione tra l’Ich e il Welt e prolungamento esteriore della razionalità tecnica dell’individuo.
È dunque manifesto come l’uomo, grazie alla tèchne, sia riuscito a differenziare l’indifferenziato, a creare delle determinazioni circostanziate a lui necessarie là dove, invece, non si aveva la possibilità di distinguere alcunché di determinato; il processo di evoluzione della tecnica si sviluppa in parallelo con una – quasi – completa emancipazione dell’umano dal divino in quanto il primo si connota della differenziazione mentre il secondo di tutto ciò che risulta indifferenziato. Questa è soltanto una tra le grandi liberazioni – libertà da, dunque negative – che l’uomo ha avuto la caparbietà di realizzare nell’evoluzione delle sue capacità tecniche: come abbiamo già affermato, gli individui umani risultano “esseri manchevoli”, privi dell’istintualità tipica degli animali che permette a questi ultimi di vivere per vivere. Detta manchevolezza mostra la profonda inadeguatezza umana al modo d’esistere della Natura ed è proprio per questo che egli deve emanciparsi dalla stessa attraverso la tecnica che permette lui di creare un Um-welt consono alla sua natura manchevole: ogni sua azione nella costruzione del suo ambiente non è altro che una semplice ri-flessione, ossia il riflesso delle azioni riuscite vincitrici sulla Natura. L’insieme di esse è la ragione, la quale porta alla creazione di nuove sovrastrutture – Uber-bau – che pertengono soltanto al mondo umano: la cultura, a titolo esemplificativo, diviene condizione fisiologico-necessaria all’uomo il quale la crea per poter dispiegare pienamente la sua vita nel suo ambiente.
Traendo le conclusioni da quanto affermato in precedenza, l’azione origina la riflessione e non viceversa come invece la tradizione filosofico-intellettuale ha cercato di dimostrare ponendo un accento oltremodo eccessivo sull’uomo, un eccesso egoistico di concentrazione dell’uomo sull’uomo – si pensi al cogito cartesiano.
In questa nostra minima esegesi del saggio di Galimberti, vorremmo concludere con una riflessione dello stesso tratta dall’Introduzione:
«Tutti gli scopi e i fini che gli uomini si propongono non si lasciano raggiungere se non con la tecnica che diventa il vero fine della ricerca umana».
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In queste poche righe, la verità insita circa la società iper-tecnologizzata e tecnicizzata odierna che ha come unico fine quello di potenziare il mezzo per ottenere nuovi fini – una volontà di volontà di potenza, direbbe Heidegger – è oltremodo manifesta ma si potrebbe porre un quesito particolarmente cocente: proprio “tutti gli scopi” possono essere raggiunti attraverso la tecnica? Avanziamo una possibile risposta lasciando comunque aperto il dibattito: la sazietà intellettuale potrebbe avere la sua realizzazione attraverso una mediazione altra rispetto a quella tecnica, potrebbe esulare completamente dalla tecnicità dell’ambiente circostante l’individuo. Ma, forse, anche questa controbattuta è viziata dal pensiero che è giunto fino a noi da Platone e da un eccessivo focus posto sul pensiero, ritenuto indipendente dal corpo o, addirittura, originante il corpo stesso e i suoi moti. Al di là di ciò, il saggio Psiche e techne: l’uomo nell’età della tecnica di U. Galimberti è folgorante e peculiare nella sua critica ai fondamenti della tradizione gnoseologico-teoretica della filosofia occidentale.
Per la prima foto, copyright: Patryk Grądys su Unsplash.
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