La storia di una crudeltà senza fondo. “Castigo di Dio” di Marcello Introna
Castigo di Dio è il nuovo romanzo di Marcello Introna, edito da Mondadori, ambientato durante la seconda guerra mondiale nel Sud Italia, a Bari, una città che sta soffrendo gli orrori della guerra e forse ancora di più quelli della fame. Non è facile vivere in questo luogo, non è un gioco crescere, perché i bambini del romanzo sono già adulti, poiché a loro è stata tolta la cosa più preziosa, la loro infanzia.
Una società che ha le sue regole, delle persone che vivono nella “Socia” che a volte rischia di diventare un vero personaggio, più che un’ambientazione.
«Siamo in cento qui, forse centouno, oppure centotre. Viviamo nella Socia e nella Socia dobbiamo rimanere. Non tutti hanno il permesso di uscire e, quando lo fanno, non sempre ritornano.»
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Uomini spietati, senza scrupoli, che si avvicinano alla malavita perché sono malvagi di natura oppure semplicemente perché non hanno altra scelta. L’organizzazione di un rapimento, narrata nel romanzo nei minimi dettagli, può diventare un punto di svolta o un punto di arrivo, dipende dall’interpretazione, dalle sfumature che ogni lettore riesce a cogliere.
Un ambiente che, in qualche modo, ammette quella visione del mondo contorta, che in maniera soffocata giustifica Amaro e la sua banda, perché in quella città, in quel determinato periodo storico, stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato è estremamente difficile.
«Come da accordi la vicenda venne completamente nascosta dal prefetto che, coerente con il clima omertoso imposto dalla restaurazione monarchico-badogliana, non permise nemmeno alle famiglie delle vittime di omaggiare i corpi. I cadaveri furono trasportati nottetempo al cimitero comunale e lì stoccati in una fossa comune, sotto due metri di terra e altrettanti di minacce. Era successo ed era durato davvero poco, decisamente meno di quanto ci aveva messo Francesco a trovare il coraggio di scendere in tutta la sua lunghezza quella scala occultata dalla botola nella stalla.»
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Un libro intriso di un relativismo assoluto, bene e male avvolgono e riavvolgono il filo della narrazione in un crescendo di emozioni, che coinvolgono il lettore e lo trasportano in un mondo lontano, in logiche apparentemente malate, in luoghi dove il timore sembra svanito, dove la paura cede il passo alla rivalsa, dove l’amor proprio diventa un unico punto di potere. Quasi tutti i personaggi hanno una doppia personalità, persino chi sembra spietato, in fondo nasconde qualcosa; un sentimento sconosciuto e soffocato dal troppo tempo che è passato:
«Il re le accarezzò la testa indugiando sul fermaglio, poi delicatamente lo liberò dal vincolo dei capelli e se lo mise in tasca. Non gli parve di provare pena, né si sentì a disagio.»
Una prostituta, la puttana letterata, una donna che vende il suo corpo, è in grado di comprendere lingue antiche come il greco e il latino, e può ancora offrire una speranza a qualcuno e questa fiducia nel futuro non è data dal suo corpo, bensì dalla sua mente e da quello che ancora riesce a trasmettere. Nel libro Castigo di Dio la giustizia è presente tra le righe di un giornalista che vuol denunciare ciò che tutti fanno finta di non vedere, una mosca bianca, in un inferno rosso, perché la Socia fa comodo a tutti:
«Luca era un cronista eccezionale e il suo sesto senso faceva di lui il segugio cui non si poteva sfuggire, quel “Bracco” che avrebbe fiutato sempre l’odore della sua preda e sempre l’avrebbe stanata.»
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Una crudeltà senza fondo, come le scale che portano nell’aldilà, verso quella soglia così sottile al punto che è impossibile varcarla, mostri senza tempo che vagano in una città vuota, così come l’anima di chi uccide, di chi umilia, di chi violenta e non sa dire neanche il perché. Una finestra su un mondo che non c’è più o che forse, a volte, esiste ancora, perché la maestosità di questa narrazione così cruda sta proprio in questo, nel cercare per ogni lettore una sua interpretazione personale di una storia viscerale.
Per la prima foto, copyright: Danilo Vizzarro.
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