La storia di un illusionista speciale
Così in terra (Mondadori, 2022) è il nuovo romanzo di Patrick Fogli, eclettico scrittore e sceneggiatore bolognese che ha già al suo attivo diversi volumi che comprendono thriller, storie di spionaggio e inchieste su lati oscuri della nostra società. Quest’ultimo libro è difficile da inquadrare in un genere preciso, perché racconta la storia insolita di Daniel, che a cinque anni viene affidato dalla madre in fin di vita alle suore di un orfanatrofio, dove cresce sotto lo sguardo vigile, ma anche affettuoso, di suor Anna.
Già nel corso dell’infanzia Daniel si rende conto di essere in qualche modo diverso dagli altri, fino a comprendere, divenuto adulto, di possedere delle facoltà sorprendenti, grazie alle quali diventa un illusionista di fama internazionale. Solo lui, però, sa che certi atti che mandano in visibilio il pubblico non sono abili trucchi, ma derivano da quelle inconfessabili doti personali che, se da un lato gli hanno procurato fama e ricchezza, dall’altra rendono estremamente complicati i suoi rapporti con il resto del mondo.
Perché raccontarci la vita di un illusionista così speciale? Lo abbiamo chiesto a Patrick Fogli in questa intervista.
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Così in terra è un romanzo che è difficile inquadrare in un genere e si distacca anche dai suoi libri precedenti, che spaziano dai thriller alle inchieste: possiamo considerarlo un romanzo di formazione?
Metà del romanzo lo è di sicuro. La crescita di Daniel in Istituto, la scoperta dei suoi poteri e poi il mondo di fuori, la vita oltre la bolla di quello che lui chiama “catechismo perpetuo”. È un bambino che diventa adolescente e poi adulto, un bambino diverso fin dai primi anni della sua vita e che scopre la sua diversità proprio insieme alla vita. Quanto al genere sono sempre stato dalla parte di Oscar Wilde, i libri sono scritti bene o scritti male, sperando di appartenere alla prima categoria. Credo di aver scritto tre thriller, i primi due romanzi e il penultimo. Nel mezzo ci sono tante storie a cui ho cercato di dare la strada migliore. Che è l’unica cosa che mi interessa.
Perché ha scelto di raccontare proprio un illusionista?
È venuto naturale. Daniel ha dei poteri illimitati, vive una vita nascosta, segreta e l’unica parte reale, in cui può essere davvero se stesso è il palco. Il rovesciamento totale della dinamica classica, in cui sul palco avviene la finzione. Daniel è un illusionista due volte. La prima, quando si esibisce e il pubblico vede la realtà illudendosi che sia un trucco. La seconda, nel mondo reale, quando copre dietro un trucco di finzione la sua vera natura. La sua vita stessa, forse, potrebbe essere un’illusione. Vive senza capire chi è, perché è quello che è, circondato dalla domanda delle domande – Perché io? –, una domanda che ognuno di noi, per motivi diversi dai suoi, si è fatto almeno una volta. Cosa poteva esserci, al netto della mia passione per gli illusionisti, meglio di un mago, per raccontare una situazione simile?
Qual è stata la difficoltà maggiore che ha incontrato nella costruzione di un personaggio così complesso e fuori dagli schemi come Daniel?
I rapporti con gli altri. Daniel legge il pensiero, anche se sarebbe più corretto dire che sente l’altro, emozioni, percezioni, ricordi, come se fosse al suo posto. Con un personaggio così bisognava trovare una strada per gestire i dialoghi, considerando che lui, volendo, potrebbe sapere ogni volta la risposta. Allo stesso modo ho dovuto trovare un’interiorità che esprimesse il suo stato d’animo, la paura, la solitudine, il bisogno di sapere che sono le fondamenta della parte di Daniel adulto. E in quella parte i dialoghi con padre Simone, che sono il centro narrativo del suo viaggio. È stata una sfida, in qualche modo.
Ciò che colpisce subito di Daniel è la sua costante percezione di una diversità che lo condanna alla solitudine. Solo la presunta “normalità” ci permette di vivere bene in mezzo agli altri e di avere con loro rapporti soddisfacenti?
No, l’accettazione della propria diversità, di quello che siamo. Il mondo cerca rassicurazioni – non lo vediamo anche in editoria? –, ha bisogno di qualcosa che può riconoscere, che sa dove incasellare, che non gli dia troppo da fare, che lo faccia pensare il meno possibile, che sia già una risposta e non una domanda. La diversità è una domanda, a volte senza risposta. Non un errore, che sia chiaro. Una domanda. Considerando, fra l’altro, che la normalità è una convenzione sociale. Nelle tribù in cui si sta nudi, quello strano è chi gira vestito. Il punto, per Daniel e credo per tutti, è sapere chi siamo. E sapere che vivere in una comunità ha dei pro e dei contro.
Nel suo caso la diversità è portata all’eccesso. Daniel è davvero un essere umano unico. Non ne esistono altri al mondo. Il che, per forza di cosa, lo condanna alla solitudine. Come si può raccontare al mondo che fai qualcosa che il mondo chiamerebbe miracolo? E come fai, in aggiunta, se non sai perché sei quello che sei?
Tra i molti ambienti descritti nel romanzo, spiccano le pagine dedicate alla montagna, ai luoghi appartati che riescono a dare un po’ di pace all’inquieto protagonista. Anche lei ha trovato la sua pace lasciando la città per vivere in montagna?
Sì, la città non è più il mio ambiente naturale. È un posto che mi piace, che frequento anche volentieri, ma non è quello in cui voglio vivere le mie giornate. Mentre rispondo a queste domande ho fuori dalla finestra una vallata e se aprissi un’altra finestra vedrei un bosco. Riappropriarsi del proprio tempo e del proprio spazio. Questo.
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Un altro grande tema del libro è quello del mondo dei fumetti, in particolare dei supereroi. È una sua passione particolare?
Sono nato nel ’71, ero adolescente negli anni Ottanta, sono cresciuto con i fumetti. Era inevitabile che Daniel, che è nato nel ’74, avesse a che fare con i supereroi, non solo per collocazione temporale, che nel romanzo è molto sfumata, ma per formazione, per alleviare il senso di solitudine. I supereroi sono spesso orfani, hanno poteri che non sanno da dove arrivano, sono considerati diversi, mostri addirittura. Leggerli è anche un modo per sentirsi meno strano, meno solo, meno mostro.
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Per la prima foto, copyright: Randy Jacob su Unsplash.
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