La storia di Janusz Korczak e dei suoi 200 bambini uccisi a Treblinka
Nell'agosto del 1942, nell'ambito della Kinder Aktion, i quattromila residenti degli orfanotrofi ebrei di Varsavia furono deportati e uccisi nelle camere a gas di Treblinka.
Janusz Korczak, nom de plume di Henryk Goldszmit, nato nel 1878, pedagogo, medico, pubblicista, scrittore e operatore sociale di origine ebrea, avrebbe potuto evitare la deportazione, scelse invece di condividere il destino dei duecento orfani del suo Dom Sierot, la casa degli orfani che dirigeva da decenni secondo il principio pedagogico che il bambino non va capito ma amato. Anche per ricordarlo, Castelvecchi ha da poco pubblicato Il Bambino Vitruviano. L’innovazione di Janusz Korczak di Dario Arkel.
Che cosa significa Bambino Vitruviano? L'Uomo Vitruviano leonardesco pone l'uomo al centro del Cielo, ma anche il bambino, poco dopo il suo arrivo, prende posto «all'interno del quadro della Terra e al centro del cerchio del cielo.»
Il Bambino Vitruviano altro non è, quindi, che il cercatore e il creatore ispirato da un Leonardo ancestrale: «egli supera le difficoltà con fatica e impegno, e percorre il cammino oltre queste, scoprendo a mano a mano di che cosa lui è fatto, corpo, movimento, tempra, sorriso, sguardo, gioco. Apprende un suo metodo interno e si rivolge all'esterno conferendo ad esso, senza imbarazzo, la propria innovativa presenza. Poi, ed è come se lo sapesse in anticipo, imparerà a scegliere...». Il bambino figura come creato e creatore allo stesso tempo, e Leonardo oggi metterebbe lui al centro del quadrato terrestre e del cerchio spirituale.
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Con queste premesse inizia il viaggio che Dario Arkel (1958), docente di Pedagogia Sociale, prolifico e pluripremiato romanziere, saggista, drammaturgo e poeta, intraprende in questo suo nuovo libro che dedica ancora al pedagogo ebreo polacco Janusz Korczak di cui è uno dei maggiori esperti. Questo volume è la somma delle sue ricerche e delle sue riflessioni sul profilo umano e pedagogico di Korczak, modello di pensiero trasferito nelle azioni, il sublime punto di riferimento. Il protagonista assoluto è comunque il bambino al centro del sistema sociale e politico in termini universali, tramite tra terrestrità e spiritualità. Le riflessioni di Arkel si estendono ai principi pedagogici, ai diritti del fanciullo, alla sostanza dell'ebraismo stesso, come per esempio l'interessante inciso di Arthur Koestler sugli ebrei dell'Est, ripercorrendone lo sviluppo e il ruolo nel ventesimo secolo fino al mutato contesto dei giorni nostri.
Nel 1911 a Varsavia vede la luce la Casa degli Orfani (Dom Sierot) per bambini orfani di origine ebraica, ideata a condotta da Janusz Korczak, che la impianta sulla conoscenza, la comprensione e la condivisione. Nel vocabolario pedagogico di Korczak l'indifferenza, l'intolleranza e l'imposizione sono parole da bandire, e da sostituire con l'educazione al rispetto di ogni singolo individuo.
«Di fatto, all'interno della Casa, venivano sviluppate relazioni fondate sulla responsabilizzazione e sull'autogoverno: adulti e bambini dovevano stabilire di comune accordo le regole reggenti la vita scolastica, e vigilare insieme sulla loro effettiva applicazione.»
A questa meravigliosa utopia realizzata mette fine la deportazione trentun anni dopo la fondazione, il 5 agosto 1942.
«I soldati hanno visto scendere i bambini, che si sono disposti in fila per quattro. Bellissimi. Il primo procedeva con il violino, e accanto a lui l'altro con il tamburo, e al loro fianco il ragazzo che portava la bandiera che Korczak aveva fatto rattoppare per l'occasione: da una parte il Quadrifoglio in campo d'oro, che era il simbolo del Dom Sierot, dall'altra la Stella di Davide, che è il simbolo del popolo ebraico. E così hanno marciato, in fila; Janusz Korczak, ormai consumato dall'orrore che non poteva esprimere, teneva in braccio il bambino più piccolo. E così hanno marciato alla Umschlagplatz, dove si raccoglievano tutti coloro che dovevano poi andare al binario, verso Treblinka. Avrebbero dovuto fermarsi, ma pare indicassero loro di andare direttamente al treno perché non c'era più spazio.»
Il dignitoso, quasi fiero corteo dei bambini diede forza a chi lo vide e ispirò la rivolta del ghetto di Varsavia qualche mese dopo. Perché, lo sottolinea Arkel sulla scia di uno studio fatto da Monika Pelz, per la prima volta nella Storia una guerra, la Seconda guerra mondiale, viene combattuta anche contro i bambini. Nella sola Polonia ne muoiono più di due milioni. Si rende pertanto necessario occuparsi non solo dei diritti umani, ma più specificamente anche dei diritti dei bambini, del fanciullo. Janusz Korczak ne era il primo sostenitore fin dal principio del ventesimo secolo, consapevole che il bambino fosse portatore di diritti e considerandolo il più antico proletario del mondo. Fonda, nel 1911, la Casa degli Orfani prendendo per modello la Casa dei Bambini di Johann Heinrich Pestalozzi in Svizzera e ispirandosi alla pedagogia di Maria Montessori. La fa diventare una meraviglia della pedagogia applicata dove le leggi, la giustizia, sono fatte dai bambini, in cui vengono istituiti laboratori fra i più vari, e dove si insegna lavorare nel rispetto reciproco, a turni e ruoli intercambiabili. Il metodo educativo di Korczak si basa sull'etica e la virtù morale, sull'estrema libertà del bambino che comprende anche il diritto alla morte.
Il Bambino Vitruviano non è solo un’importante testimonianza dell'uomo e del pedagogo Janusz Korczak, ma è anche un libro ricco di spunti e collegamenti curiosi, inaspettati, che si rivelano indiscutibilmente arricchenti. Anche quando Dario Arkel sembra spaziare, andare fuori tema, torna sempre a riafferrare i concetti fondativi della propria Weltanschauung e visione pedagogica, avvicinandoli da qualche punto di vista di cui il lettore non sospettava l'esistenza, e accostandoli in qualche modo alla figura di Janusz Korczak. Un esempio ne è la pagina in cui l'autore ipotizza il rapporto del pedagogo ebreo polacco e dei suoi orfani sopravvissuti all'Olocausto, con Auschwitz. Se fossero rimasti in vita, secondo Arkel, dopo la guerra Korczak non avrebbe mai visitato con i bambini Auschwitz, perché è una “memoria immemorabile”.
«...chi ha vissuto il dramma più atroce non può starci, non può andarci con tutto se stesso. Qualcosa lascia là da dove viene, dove è tornato per sopravvivere. Dentro di lui c'è l'esperienza di quanto è venuto, ma ha la necessità profonda di distogliersene. Un superstite non riesce a rinchiudere quel luogo nella sua semplice memoria. È irraggiungibile.»
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Concludo riportando un passo toccante della chiusa di questo bel libro:
«A tutti voi dedico la canzone dei partigiani del Ghetto di Varsavia (Mir Zeynen do), quegli ultimi disperati che, con le armi che erano riusciti a rimediare lì per lì, hanno reagito al buio del nazismo, un'imboscata dietro l'altra. Questa ribellione si può dire sia cominciata con l'esempio dei bambini di Korczak, fieri e dignitosi di fronte alla morte. Questo è quel popolo, coriaceo e resistente, dei bambini che osservano il cielo con i piedi ben piantati in terra; del bambino che, al giorno d'oggi, Leonardo da Vinci disegnerebbe al posto dell'uomo. Il Bambino Vitruviano.»
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