La storia del paese sommerso nel Sudtirolo. “Resto qui” di Marco Balzano
Ci sono storie che ti lasciano con gli occhi lucidi e una strenua fiducia nelle possibilità delle parole, con un nuovo sogno nel cassetto e la voglia di lottare. Storie che ti spingono a indagare chi sei davvero e chi vorrai essere, chi vuoi al tuo fianco e chi proprio non vuoi lasciare andare. Resto qui di Marco Balzano, tra i dodici libri finalisti al Premio Strega 2018, è una di queste storie.
Dopo il successo de L’ultimo arrivato (Sellerio), vincitore del Premio Campiello 2015, Balzano torna a raccontare una storia che a tratti può sembrare antica, come quella della resistenza, che con l’imminente scomparsa degli ultimi testimoni sta diventando memoria storica e non memoria vissuta. Se protagonista ne L’ultimo arrivato era un giovane migrante “con la testa piena di parole”, protagonista è ora una donna che fa di tutto per non dover emigrare e lasciare il suo maso a Curon, nel Sudtirolo. Si chiama Trina, una giovane donna di lingua tedesca che cresce, studia, si sposa, affronta la guerra, la dominazione fascista, il controllo nazista e la paura di vedere il suo paese sommerso per il folle desiderio di Mussolini di costruire una diga.
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La vicenda è raccontata in prima persona, come una lunga lettera indirizzata alla figlia Marica, portata in Germania di nascosto dagli zii perché potesse studiare e godere delle possibilità che solo le grandi città possono offrire. Trina racconta la sua storia, dalla giovinezza ai sogni che l’hanno nutrita, dalle frustrazioni dell’impotenza alla passione per l’insegnamento coltivata in clandestinità. Il linguaggio è mesto, semplice, colloquiale. I brevi capitoli si susseguono velocemente uno dietro l’altro, come andando a salvare dall’oscurità dell’oblio ciò che va detto, quei pensieri che vanno tenuti al sicuro dalla bufera del tempo che passa. Non cercano spiegazioni, l’autore e Trina. D’altra parte, quando s’incontra la guerra, spiegazioni non ce ne possono essere, la verità diventa poco importante, soprattutto se tuo figlio si arruola nell’esercito nazista, imbevuto delle false promesse di Hitler. Non c’è da stupirsi se tuo marito, al contempo reduce e disertore, non ha più la forza di volergli bene. «La vita era una questione di idee prima che di affetti», scrive Balzano. E poi ci sono le montagne. Per salvarsi bisogna andare su, dove fascisti e nazisti non possono arrivare, su verso le vette più alte, dove il freddo diventa più severo e il rischio di morire assiderati è un’eventualità tutt’altro che lontana.
Quello che conta è portare a galla ciò che è stato sommerso. Oggi, infatti, chi va a Curon Venosta al posto del paese trova un lago artificiale con un campanile che emerge dall’acqua e un pontile, dal quale i selfie vengono benissimo. La storia delle persone che hanno vissuto sta diversi metri sotto il livello dell’acqua, dove l’occhio non ha la forza di arrivare, ma la penna sì.
Partire e restare, andarsene e arrivare, credere e sperare, tradizione e novità, sono tematiche che attraversano tutti i libri di Marco Balzano, che ostinatamente non smette di scavare nella storia alla ricerca di quello che abbiamo voluto dimenticare, per indifferenza o per nascondere la testa sotto la sabbia. Balzano – che nella vita, tra le tante cose, fa anche l’insegnante – non è uno di quegli scrittori che si chiudono in una villa sul mare per mesi o in una baita in cima alle montagne. I romanzi di Balzano nascono in strada, dalla scoperta, dal dialogo, da un interesse genuino per le persone e per le loro storie. Sono romanzi che sovrappongono la sua fervida fantasia a uno strato denso di Storia.
«Se la storia di quella terra non mi fosse parsa da subito capace di ospitare una storia più intima e personale, fatta di diritti negati, di soprusi, dell’importanza e dell’impotenza della parola – scrive Balzano in una nota finale –, non avrei trovato interesse sufficiente per scrivere questo romanzo. Sarei rimasto anch’io a bocca aperta a guardare il campanile che sembra galleggiare sull’acqua, mi sarei affacciato dal pontile per cercare di intravedere i resti di quel mondo sotto lo specchio del lago e poi, come tutti, sarei andato via».
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Per fortuna ci è rimasto, per fortuna ha portato lì anche noi. Le acque si sono aperte e Curon è riemersa, almeno nella finzione.
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