“La simmetria dei desideri” di Eshkol Nevo
Quattro amici israeliani e i loro imprevedibili destini
Pensavo che dopo le tre recensioni ai racconti finalisti al Premio Chiara mi sarei concentrato sulle raccolte di narrazioni brevi (avevo già in mente i Dialoghi con Leucò, o i Sillabari), ma un’amica mi ha consigliato La simmetria dei desideri di Eshkol Nevo e non posso astenermi dal parlarne. Il giovane autore israeliano (è nato a Gerusalemme nel 1971) padroneggia una scrittura impastata di ironia e tragicità, capace di penetrare nei sentimenti e nelle contraddizioni di ogni uomo; non solo: Nevo rivela anche una sorprendente abilità tecnica sia nell’anticipare gli snodi narrativi, per sorprendere il lettore lungo il percorso che conduce al loro compimento, sia nell’intersecare diversi piani letterari.
Sono quattro i protagonisti della Simmetria dei desideri (collana Bloom, Neri Pozza; traduzione dall’ebraico di Ofra Bannet e Raffaella Scardi): Yuval, Yoav detto Churchill, Amichai e Ofir; amici inseparabili e sinceri nonostante il cinismo dei tempi, nonostante l’inquietudine e la paura che ammorbano la quotidianità degli israeliani, nonostante la capacità della vita di ribaltare le loro aspettative.
Al termine dei Mondiali del ’98 decidono di scrivere su un biglietto tre desideri ciascuno da soddisfare nei successivi quattro anni (quando, dopo la finale, i foglietti verranno dispiegati e letti ad alta voce). Nessuno riuscirà a concretizzare i propri sogni, eppure qualcosa di misterioso si compirà… Ad esempio Yual, il narratore, ai successivi Campionati del Mondo vorrebbe stare ancora con Yaara, ma lei gli preferisce Churchill, ed è proprio quest’ultimo a revisionare il manoscritto in cui Yuval racconta la loro storia (questo era però un proposito di Ofir), in un intreccio continuo di destini che irride volontà e aspirazioni. Eshkol Nevo sembra volerci suggerire che le logiche di ogni esistenza sono imperscrutabili – e ci tocca assecondarle quando non si può fare altrimenti, così come quelle dell’amicizia (intesa come una sorta di affinità elettiva).
«[…] il mondo intorno a voi diventa sempre più cinico e violento, e voi mantenete in piedi questa vostra comitiva, in cui v’importa l’uno dell’altro.
Ma questa è proprio la definizione dell’amicizia, no?».
E quel mondo, della prima e della seconda Intifada, di una società militarizzata, resta allora sullo sfondo, come rileva anche il maestro di scrittura a cui Yuval sottopone il suo testo, replicandogli poi che i legami servono proprio a ricreare un universo a sé stante in cui trovare rifugio. Del resto le poche pagine che dedica alla sua esperienza durante il servizio militare sono più che sufficienti a giustificare la quasi totale rimozione dal suo scritto dell’orrore e dei soprusi a cui ha assistito, e partecipato.
Infine, i lettori di Sul Romanzo apprezzeranno senz’altro le pagine in cui Yuval descrive l’attività truffaldina del padre: editore a pagamento, e della peggior specie!
«Mio padre trattava con tutti gli onori gli scrittori che si presentavano alla nostra tipografia nella città bassa. Non che ce ne fossero molti. La maggior pare cercava fortuna presso le grandi case editrici di Tel Aviv, e quando veniva respinta rinunciava al suo sogno. Solo pochi erano abbastanza testardi, o abbastanza disperati, da pubblicare il libro a spese loro e nessuno, a parte una singola eccezione, è mai tornato da mio padre per stampare un secondo libro. Avevano una sola storia da raccontare, la storia della loro vita […]».
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