La Sicilia spiegata agli eschimesi (e a tutti gli altri). Intervista a Ottavio Cappellani
La Sicilia spiegata agli eschimesi (SEM, 2019) è il nuovo libro di Ottavio Cappellani, eclettico giornalista e scrittore siciliano autore di romanzi, come il suo folgorante esordio Chi è Lou Sciortino? (Neri Pozza, 2004) – tradotto e pubblicato in molti Paesi – di testi teatrali e di saggi, oltre che titolare di una rubrica fissa di costume sul quotidiano «La Sicilia».
Scrittore molto originale, brillante e ironico, non si smentisce nemmeno in quest’occasione, presentandoci una specie di guida alla sua isola in cui si muove tra tradizioni e luoghi comuni: Cappellani cerca di fornire al lettore spiegazioni e interpretazioni, spesso molto personali e comunque divertenti, di ciò che non sempre appare di facile comprensione a chi decide di visitare la Sicilia.
Ne abbiamo parlato con l'autore in una chiacchierata prima della presentazione del volume nella sede della casa editrice SEM a Milano.
Leggendo il suo libro si capiscono alcune cose che suonano strane ai non siciliani, come la venerazione per il carrubo. Io, che avevo un suocero siciliano, non avevo mai capito perché amasse tanto quella pianta.
Il carrubo, in effetti, esiste solo nella Sicilia orientale ed è un albero mitico, venerato, carico di riferimenti a storie e leggende. È solo nostro.
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Sono andata subito a leggere il dibattito sul genere degli arancini, ma soprattutto ho trovato spiegazione a tanti piccoli comportamenti dei miei amici siciliani, soprattutto dei più giovani. Ho capito di più il loro rapporto viscerale con la terra natia, cosa che non si avverte molto qui al nord: anche noi amiamo i posti dove siamo nati e viviamo, ma non in modo così forte come loro. È così?
Credo che il forte attaccamento alla terra sia tipico di tutti i sud del mondo. Il fatto curioso, secondo me, è che i siciliani, in realtà, sono quelli che abbandonano di più la loro terra per andarsene altrove, eppure non perdono mai l'attaccamento alle loro radici, anche in senso metaforico: il legame con la casa, con la terra d'origine, è un legame con la storia, con le tradizioni, con il mito di cui è intrisa la Sicilia, ed è forse un fatto più psichico che geografico.
Ma com'è nata l'idea di raccontare la Sicilia in questo modo?
Avete mai sentito parlare di Mario Sgalambro? È un filosofo di Lentini, pubblicato da Adelphi, che nell'ultima parte della sua vita ha fatto anche l'attore e il canautore, scrivendo diversi testi per Franco Battiato: sua è, ad esempio, la bellissima canzone La cura.
Anni fa scrisse un testo intitolato Del pensare breve (Adelphi, 1991), anticipando un po' i tempi moderni in cui immaginava un'epoca di pensiero breve, come in fondo è oggi la nostra, ma senza rinunciare all'idea di costruire un sistema di pensiero. I grandi sistemi di pensiero, come sono stati espressi in passato, ormai non fanno più parte del mostro tempo: oggi si parla per frasi brevi, ma non per questo si deve rinunciare ad avere una visione più ampia, il che in fondo è anche una bella sfida. Io posso dire che ho impiegato più tempo a scrivere questo libro, in cui ho condensato molti concetti in poco più di cento pagine, di quanto me ne sia servito per altri libri precedenti, che di pagine ne avevano più di quattrocento.
Incuriosisce molto il rapporto tra i palermitani e gli altri siciliani, che lei considera un po' conflittuale. Perché Palermo secondo lei non è davvero Sicilia?
Perché non ha avuto i greci. Se io do come assunto che la Sicilia è fondamentalmente un luogo con una fortissima componente greca, classica, quella del mito, allora Palermo non è Sicilia, perché ai tempi della colonizzazione greca gli abitanti della parte nord dell'isola erano alleati dei cartaginesi e respinsero l'avanzata greca da sud. I palermitani hanno avuto cartaginesi, arabi, normanni e sono molto simili ai sardi. Se per me la Sicilia è luogo del mito, essenzialmente quindi Magna Grecia, Palermo non lo è, e quindi è a parte, anche se so già che questo genererà discussioni infinite, a partire da ciò che diranno i miei parenti. E poi i palermitani non friggono la cotoletta, cibo che viene fritto ovunque nel mondo, tranne che da loro. Credono di cucinare una cotoletta così come credono di essere siciliani...
C'è tanta ricerca dietro La Sicilia spiegata agli eschimesi?
Sì, ma non è una ricerca fatta espressamente per questo libro, piuttosto per soddisfare la mia curiosità personale e per altri libri. Poi, alla fine, quello che hai assimilato torna fuori.
Un lato affascinante della Sicilia è la commistione tra sensualità e sacralità, tra feste e riti religiosi, che emerge anche dalle pagine del suo libro.
Le nostre feste sacre, dedicate ai vari santi e Madonne, vengono direttamente da feste pagane. Il paganesimo è confluito nel cristianesimo senza mediazioni, anche per la vicinanza all'Africa e alle sue influenze. Il sacro è sacro e non ha connotazioni particolari: la festa di Sant'Agata di cui si parla nel libro viene direttamente da una festa dedicata a Iside, cade a febbraio e risente sia del carnevale, sia dei riti dionisiaci. Direi che in Sicilia sesso e sacro convivono ereticamente.
Lei affronta in modo particolare anche il tema della mafia, sostenendo che si elimina solo eliminando gli ultimi duecento anni di storia.
Per eliminare qualcosa devi prima conoscerla bene, ma la mafia, spesso, non si capisce ancora bene cos'è. Per me è la schiuma del fatto che abbiamo avuto tante dominazioni, che non sempre sono state solo fattori di arricchimento culturale: arabi e normanni si scannavano tra loro, i cartaginesi guerreggiavano con i greci. La Sicilia è stata un perenne luogo di scontri, e negli scontri trova spesso la sua vita. Più che un fenomeno sociologico, etico o morale la mafia è un fatto storico, l'eredità di quello che ci ha formato.
Ma per lei è indistruttibile o no?
Solo con la guerra. Non si elimina mettendo le Miss Italia a dire che sono per la pace del mondo, ci vuole un atto di forza. Fenomeni violenti vanno condannati, ma bisogna essere consapevoli del fatto che la mafia esiste come esistono le tribù africane in lotta tra loro.
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Non la sta un po' sottovalutando?
No. Non metto certo in discussione il fatto che la mafia sia un male. È un fenomeno storico come il nazismo o il fascismo, un sistema di pensiero fortissimo, ma che può essere sconfitto. Nazismo e fascismo sono stati sconfitti con la guerra, comunque.
Qualcuno riuscirà mai a dare una definizione corretta di "sicilianitudine"? Cos'è per lei?
Il mito. La Sicilia è un luogo dove il mito vive ancora oggi, dove puoi incontrare mostri, caninbali, dei, angeli e arcangeli. Un luogo dove l'umano prende forma. È barocca nel senso che ha le forme, mentre l'epoca contemporanea le ha perse. Oggi siamo tutti cittadini ed elettori, ma l'umanità è fatta di molto altro. E poi ognuno ha la sua Sicilia.
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