La serenità d'animo è contagiosa. Intervista a Renoir
Ottimismo, gioia di vivere e pacatezza. Sono queste le principali qualità di Pierre-Auguste Renoir. Conosciuto come uno dei padri fondadori dell'Impressionismo, Renoir seppe rivoluzionare il gusto artistico della seconda metà del XIX secolo: colori accesi e sgargianti per rappresentare scene di vita quotidiana, ma sempre caratterizzate da allegria e convivialità.
Nonostante la forte crisi economica che caratterizzò la sua carriera professionale (non riusciva nemmeno a pagare gli strumenti del mestiere) e nonostante la malattia invalidante e degenerativa, l'artrite reumatoide, che gli provocava non poca sofferenza, non si stancò mai di perseguire il suo sogno di diventare pittore. Ci riuscì grazie a un innato talento, al forte entusiasmo, al contagioso senso dell'umorismo che gli faceva percepire la vita più leggera di quella che poteva apparire.
È sufficiente ammirare una sua opera per capire come l'arte possa essere una medicina per gli occhi e basta leggere le sue risposte a quest’intervista per trovare la conferma di come gli artisti del passato avevano "una marcia in più".
L'abbiamo incontrato in un nostro viaggio nel sud della Francia, a Cagnes-sur-Mer, mentre ci trovavamo all'interno della sua casa ora diventata museo.
Che piacere signor Renoir, finalmente ho l'occasione di conoscerla. Come sta?
In questi giorni sono stato molto oppresso dai miei reumatismi. Ho passato notti insonni e orribilmente tormentate.
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So che lei soffrì di una malattia degenerativa, l’artrite reumatoide, che la costrinse a farsi legare i pennelli alle mani per riuscire a dipingere. I medici le avevano prescritto un medicinale particolare, ma si narra che lei la prendesse con parsimonia...
Temevo che quei medicinali potessero compromettere la mia creatività. Non potevo più usare le mani come prima e ciò mi irritava molto, era una specie di abitudine, ma non sono rimasto nemmeno un giorno senza dipingere.
La positività che traspare dalle sue opere è indiscutibile. Cosa significa per lei dipingere?
Per me un dipinto deve essere una cosa amabile, allegra e bella. Ci sono già abbastanza cose noiose nella vita senza che ci si metta a fabbricarne altre. So bene che è difficile far ammettere che un dipinto possa appartenere alla grandissima pittura pur rimanendo allegro. La gente che ride non viene mai presa sul serio.
Come darle torto. Lei è considerato uno dei padri dell'impressionismo. Cosa rappresenta per lei la pittura en plein air?
Resto al sole non tanto per eseguire dei ritratti in piena luce, ma per scaldarmi[1] e per osservare. Così, a forza di vedere l'esterno, ho finito con l'accorgermi solo delle grandi armonie senza più preoccuparmi dei piccoli dettagli che spengono il sole anziché infiammarlo.
Per esempio in Italia, che è un Paese caldo, la natura non sa di chiuso. Nelle Nozze di Cana del Veronese o nei Nudi del Tiziano c'è una luce stupenda che non si trova in nessun altro quadro moderno. Davanti alla natura si è sconvolti dallo spettacolo del tramonto, ma se questo effetto fosse eterno stancherebbe, mentre dove non c'è effetto non c'è niente che stanca.
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Lei amava molto l'Italia e in particolare la pittura italiana, vero?
Vero. Nutrivo una profonda ammirazione per gli italiani, soprattutto per quelli del Meridione, forse perché quando arrivai a Napoli cominciavo a capire qualche parola di italiano. Sono andato a vedere Raffaello a Roma, Venezia... bellissima.
Gli italiani non hanno nessun merito a fare una grande pittura. A loro basta guardarsi intorno. Il guaio è che in Italia c'è troppa bellezza. Perché mettersi a dipingere quando è così bello osservare quello che c'è attorno? Peccato che io adesso sia vecchio e malato. Adesso sì che sarei capace di dipingere in Italia... Per resistere all'accesso di bellezza, per non farsene sopraffare, bisogna conoscere bene il mestiere.
Si ricorda che alunno era?
Alla scuola comunale i maestri mi rimproveravano di passare il tempo a disegnare pupazzi sui quaderni. I miei genitori, invece, erano felicissimi e mi vedevano già decoratore di porcellane. Siccome mio padre era nato in una città famosa per le ceramiche, era naturale che la professione di pittore di porcellane gli sembrasse la più bella al mondo. A diciassette anni mi si prospettava la magnifica carriera di pittore di porcellane, ma successe una catasfrofe che distrusse i miei sogni per l'avvenire.
Cosa accadde?
Nascevano allora le prime decorazioni a macchina delle porcellane e il gusto del pubblico propendeva per questo nuovo procedimento, come succede sempre quando si sostitusce al lavoro manuale quello meccanico. Tentai di fare concorrenza alla macchina, lavorando agli stessi prezzi, ma ben presto dovetti rinunciare. Allora mi sono messo a dipingere ventagli.
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Mi ha colpito molto leggere alcuni libri a lei dedicati, in cui si narra come riuscisse sempre a trovare un modo per affrontare le difficoltà, senza mai adirarsi o perdersi d'animo.
Gli uomini sono sempre troppo tesi, pensano troppo. Le preoccupazioni profonde, drammatiche, lasciano sul volto i segni della provvisorietà. Quando sei giovane ti sembra che ogni cosa ti scivoli fra le dita. Allora ti metti a correre e perdi il treno. Quando invecchi, invece, capisci che hai tempo, che puoi prendere il treno successivo. Questo non vuol dire che ci si debba addormentare, bisogna essere rapidi ma senza nervosismi.
Lei era affascinato dai maestri antichi...
Per loro la gloria di aver realizzato una bella opera sostituiva il salario: lavoravano per guadagnarsi il cielo e non per fare fortuna. Bisogna ammettere che i nostri contemporanei sono meno fortunati dei loro predecessori, quanto a fonte di ispirazione. Nella bottega del Maestro non ci si limitava a disegnare, si imparava anche a fabbricare i pennelli, a macinare i colori, a preparare i cartoni e le tele. Il severo tirocinio imposto ai giovani pittori non ha mai impedito alla loro originalità di emergere. Raffaello, che fu allievo del Perugino, è divenuto ugualmente il divino Raffaello.
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Credo d'aver inteso che lei non amasse particolarmente gli eccessi, gli eventi mondani a differenza di molti altri suoi colleghi. Amava molto le piccole mostre. Perché?
Penso che le mostre piccole, con pochi quadri, abbiano più valore. Trovo che chi espone figure troppo grandi faccia nascere il sospetto di realizzarle troppo facilmente, togliendo loro il sigillo della rarità.
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Il suo amico e collega Monet dipingeva su grandi dimensioni e tali opere hanno riscosso non poco successo...
Ammiro Monet che è capace di fare in così poco tempo cose tanto interessanti. Ha un'energia che io sono ben lontano dal possedere.
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Ho qui una riproduzione del suo celebre dipinto La colazione dei canottieri, opera in cui compare una fanciulla con in braccio un cagnolino, Aline Victorine Charigot, che diventerà sua moglie e dalla quale ebbe tre figli. Quale deve essere il fine dell'opera d'arte secondo lei?
L’opera artistica deve catturare, legare e portare via con sé lo spettatore. Con essa l’artista trasmette la sua passione, è il fluido che emana e con il quale coinvolge l’osservatore nei propri sentimenti.
Suo figlio Jean, il celebre regista, le ha dedicato un libro[2], in cui ha raccolto tutti gli aneddoti che la riguardano. Ci racconta di come lei avesse molto a cuore il benessere dei bambini. Distribuiva loro latte, biscotti e avrebbe voluto fondare un istituto in cui le donne disoccupate potessero badare ai bambini di quelle che dovevano andare a lavorare. L'istituto si sarebbe dovuto chiamare Le Pouponat, tanto che organizzò un ballo in maschera per raccogliere fondi per costruirlo. Poi però il guadagno non fu sufficiente...
Ogni tanto bisogna tentare cose superiori alle proprie forze.
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Si nota molto questo legame tra la sua personalità e le scene o i soggetti che dipinge. Lei amava molto il suo mestiere...
Se non mi fossi divertito, non avrei dipinto.
Sono molte le opere dedicate al mondo femminile. Per lei le donne erano delle muse...
Conosco dei pittori che non facevano nulla di buono perché, invece di dipingere le modelle, le seducevano.
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Già. Lei ha avuto un enorme successo. Sono stati venduti anche i suoi oggetti personali: una sua sciarpa a pois è stata acquistata per 3.750 dollari; gli occhiali per 6.250 dollari. Mi viene da sorridere quando ripenso alla frase di Manet: «Renoir è un ragazzo senza alcun talento. Ditegli, per favore, di smettere di dipingere».
La cosa più terribile su questa terra è che tutti hanno le proprie ragioni. Sa che cosa diceva la gente di fronte a questo quadro [Bambina Manet con in braccio il gatto]?
«Che pasticcio di colori!». Degas, invece, brontolò: «A forza di dipingere figure rotonde, Renoir realizza vasi di fiori». Avevo pensato di poter togliere l'olio dal colore. Allora il colore diventava troppo secco e gli strati successivi di pittura aderivano male. Non sapevo ancora, a quel tempo, la verità elementare che la pittura a olio va fatta con l'olio. E sia chiaro: nessuno di coloro che avevano stabilito le regole della "nuova" pittura aveva provveduto a darci questa preziosa informazione. Ero preoccupato di trovare un modo per non fare annerire il colore. Solo più tardi scoprii che è proprio l'olio che impedisce al colore di annerire. Capita sempre di essere presi per matti se si abbandona la maniera a cui il pubblico è abituato. Così i miei amici facevano a gara per compatirmi. Insomma, lasciar fare e saper aspettare è il motto del saggio.
La sua saggezza è davvero sorprendente. Potrebbe dare un consiglio a chi si trova ad affrontare una particolare difficoltà?
Il dolore passa, la bellezza resta.
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Grazie Renoir per averci trasmesso la gioia di vivere non solo con le tue parole, ma anche con le tue opere d'arte.
Per conoscere la vita di Renoir consigliamo la lettura dei seguenti testi:
- Lettere e scritti di Renoir a cura di Elena Pontiggia, 2001, Abscondita.
- Renoir, mio padre di Jean Renoir, 2015, Adelphi.
- Impressionisti. Biografia di un gruppo di Sue Roe, 2007, Editori Laterza.
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