La scuola pubblica prepara meglio della scuola privata. È vero?
Per anni è stata una leggenda metropolitana tra le più dure da scalfire: la scuola privata è migliore di quella pubblica. Oggi qualche dubbio comincia a insinuarsi e alcuni studi tendono addirittura a ribaltare il risultato portando in testa la scuola pubblica, che diventerebbe così migliore di quella privata. Il punto però è: la scuola italiana, pubblica o privata, prepara adeguatamente i propri alunni?
Secondo un’indagine condotta dalla Fondazione Agnelli su oltre 1000 Istituti di Istruzione secondaria di secondo grado, dislocati tra Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Calabria, e 145.000 diplomati «nonostante la presenza di alcune realtà di chiara eccellenza, la performance della maggior parte delle scuole non statali è deludente rispetto a quelle statali». L’obiettivo della ricerca è stato quello di studiare a ritroso le carriere universitarie (esami, voti, crediti) e verificare la provenienza degli studenti in maniera tale da «trarre indicazioni utili sulla qualità delle “basi” formative acquisite e dunque sul lavoro svolto presso le scuole superiori di origine».
Anche i dati della ricerca condotta nell’ambito del Programme for International Student Assessment (PISA) dell’OCSE risalgono al 2012 come per lo studio della Fondazione Agnelli. E anche in questo caso il “vantaggio” della scuola privata non è poi così scontato.
«Gli studenti che frequentano scuole private tendono a conseguire risultati significativamente migliori nelle rilevazioni PISA rispetto agli studenti che frequentano scuole pubbliche; ma gli studenti delle scuole pubbliche che provengono da un contesto socio-economico simile a quello delle scuole private tendono ad andare egualmente bene»; inoltre «Paesi con un’alta percentuale di scuole private non ottengono risultati migliori in PISA».
L’analisi PISA dell’OCSE ha inoltre focalizzato l’attenzione sul fatto che, in sostanza, il vantaggio delle scuole private è per la gran parte dovuto agli alti livelli di autonomia nel definire il curriculum e dal background socio-economico degli studenti che frequentano queste scuole.
Sia dallo studio della Fondazione Agnelli che da PISA è emerso quindi che incide molto sul rendimento o meglio sul risultato scolastico di uno studente la situazione socio-economica della famiglia di origine. Perché?
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Sintetizzando i dati emersi fino a questo momento possiamo affermare che, in una scuola privata, potenzialmente si può lavorare meglio e di più in quanto si hanno maggiori possibilità economiche e di conseguenza materiali e quant’altro possa servire a completamento della formazione. Però è pur vero che gli standard di valutazione sono arbitrariamente fissati e quindi potrebbero non coincidere con quelli “pubblici” rendendo a questo punto meno attendibile un confronto diretto. Per quanto riguarda la scuola pubblica invece all’eterogeneità dei frequentanti dovrebbe però contrapporsi un’omogeneità di materiali e offerta formativa. Se si hanno gli stessi insegnanti e si studia sugli stessi libri perché mediamente ottengono risultati migliori coloro che provengono da uno status familiare socio-economico più elevato? Per il calcolo delle probabilità non è pensabile che ciò sia dovuto a una sempre maggiore corrispondente capacità intellettiva e di apprendimento. È più probabile infatti pensare che ciò sia dovuto alla superiore possibilità di informazione, documentazione e studio extrascolastico e forse, spiace dirlo, anche a qualche pregiudizio nella valutazione dei meriti. In questo caso però verrebbe proprio meno il cardine, il principio base su cui deve perentoriamente fondarsi una scuola pubblica.
Leggendo i risultati di un’indagine ISTAT del 2010, basata anche su rilevazioni dell’OCSE, si resta un po’ perplessi, a tratti sconcertati: «In particolare, per le competenze in lettura, uno dei cinque benchmark selezionati nella strategia di Lisbona, il punteggio medio nella scala di competenze degli studenti italiani (469) è di 23 punti inferiore alla media internazionale (492). […] Il quadro è peggiore per le competenze in matematica. […] Anche per la literary scientifica il ritardo appare considerevole: 25 punti in meno del valore medio OCSE. […] La posizione dell’Italia, non dissimile da quella di Grecia e Portogallo, è lontana dai livelli di eccellenza della Finlandia». Precisiamo che questi dati sono riferiti ai ragazzi di 15/16 anni che hanno appena concluso il ciclo obbligatorio di studi.
Se si interrogano i ragazzi sui responsabili della situazione attuale risponderanno in coro che è colpa degli insegnanti, quest’ultimi diranno che i tempi sono cambiati, è difficile lavorare, non c’è collaborazione né partecipazione da parte degli alunni come delle loro famiglie. I dirigenti diranno che loro danno il massimo e di più non possono, perché, fino a quando continueranno a tagliare i fondi, taglieranno anche le gambe o le ali… Nelson Mandela affermava che «c’è un solo modo per svelare l’anima di chi governa una comunità: osservare come tratta i bambini e gli insegnanti».
Non c’è bisogno di focalizzare neanche troppo per rendersi conto che la scuola, come l’istruzione in generale, in Italia sembra essere diventata un peso in quanto assorbe risorse senza generarne, questo almeno agli occhi di chi considera fondamentale non la cultura, non il sapere, non la conoscenza bensì la crescita economica come indice di benessere di uno Stato democratico.
È chiaro a questo punto che la priorità non è stabilire se sia la scuola pubblica migliore di quella privata o il contrario ma trovare un modo per rendere la scuola italiana, preferibilmente pubblica, competitiva sul piano internazionale e in grado di fornire ai suoi studenti una formazione adeguata.
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