La scrittura e i suoi fantasmi. “Il silenzio di averti accanto” di Giancarlo Marinelli
La stagione politica che stiamo vivendo è soggetta a molte interpretazioni; mai come in questo momento c'è il bisogno quindi di volgersi all'indietro per capire se questa situazione sia figlia della storia più e meno recente del nostro Paese. Il Moloch inamovibile con cui fare i conti è naturalmente, e purtroppo, il Ventennio fascista (sarebbe bello immaginare come fa Stefano Trucco nel suo romanzo distopico che la dittatura non sia mai esistita). Nel dopoguerra ci siamo beati dell'espressione “Italiani brava gente”, per poi scoprire che siamo stati un popolo che ha fatto le stesse cose, forse anche peggiori, di tante altre nazioni: i metodi utilizzati dall'esercito nella guerra d'Etiopia, il manifesto della Razza del 1938 con la conseguente discriminazione e poi persecuzione della comunità ebraica... Quando andavo al liceo, negli anni Ottanta, la mia bravissima insegnante di storia e filosofia ci parlava della teoria del consenso che lo storico Renzo De Felice aveva con mille polemiche sdoganato nella storiografia italiana: il regime fascista almeno fino all'entrata in guerra godeva di un ampio consenso popolare, grazie anche all'astuto e accorto uso dei nuovi mezzi di comunicazione di massa; non era stata quindi una parentesi “irrazionale” della nostra storia facilmente cancellabile con la caduta di Mussolini.
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Il silenzio di averti accanto, il nuovo romanzo di Giancarlo Marinelli (già finalista al Campiello con alcuni suoi precedenti romanzi) pubblicato da La Nave di Teseo, racconta soprattutto il Ventennio parlando della storia della sua famiglia. Scrive di due fratelli: Marino e Almo, uno fascista, l'altro comunista. A tenere le fila del discorso è lui, il ragazzo che non è più ragazzo, il nipote di Marino che aspetta un figlio dalla moglie e non sa se dargli il nome del nonno o quello dello zio. Comincia così una specie di indagine tra i fantasmi della sua vita, con un continuo salto temporale tra presente e passato. La storia della famiglia Marinelli è una storia drammatica perché s’intreccia con gli odi e le passioni del Novecento. Marino si scontra fin da giovanissimo con la sua famiglia che ha profonde radici socialiste. Si scontra soprattutto con il padre che sembra rifiutarlo come figlio per la sua scelta improvvida e violenta di andare dietro a quel «corvo buffone» di Mussolini (alla morte del genitore scoprirà che lui anche se da lontano, in silenzio appunto, l’ha sempre seguito e in qualche modo ammirato). Marino è un guascone, potrebbe essere definito un “fascista rosso”, un ragazzo che è dalla parte degli sfruttati e non degli sfruttatori, degli operai e non dei padroni. Tutto il contrario di quello che in quegli anni sta avvenendo proprio all'interno del Fascismo, i cui pezzi da novanta fanno continuamente «lingua in bocca» con chi ha sempre messo i piedi in testa alla povera gente. Almo, altra testa calda, è dall'altra parte della barricata, fin da quando ha visto con i suoi occhi l'attentato a Mussolini nella Bologna del 1926:
«... un anfibio militare gli monta su una spalla e una, due, dieci borse di donne, in corsa, lo rimbecilliscono di pugni. Le grida, le grida disumane di un ragazzo. Almo non può vederlo, perché colui che grida è al centro dell'Arena di un'improvvisata Macelleria bolognese che sta facendo del corpo d'un giovinetto, Mortadella per il Diavolo... Il branco si apre per un istante, giusto il tempo di mostrare ad Almo ciò che gli tornerà in incubo tutte le notti, per tutta la vita: il corpo nero, irriconoscibile, come una colata di petrolio, di tal anarchico quindicenne Anteo Zamboni...».
I due fratelli però sono legati indissolubilmente l'uno all'altro (Marino farà addirittura “seguire” Almo dall'uomo con la cicatrice che sarà per i due una presenza di raccordo fondamentale), anche se è il silenzio la loro forma principale di comunicazione. A Padova Marino diventa segretario cittadino ma va ancora una volta allo scontro contro «quelli che vorrebbero ridurre il partito a un mercato delle pulci. Quelli che hanno scambiato la tessera del Fascismo per una cambiale da far pagare al popolo». Ma le proteste contro di lui aumentano e contribuiscono a far muovere i potenti del regime per far intendere a Marino che la rivoluzione permanente fa oramai parte del reliquiario del passato. Almo alla fine non potrà neanche più contare sulla silenziosa protezione del fratello oramai caduto in disgrazia: viene spedito al confino duro in Sardegna, un confino da cui ritornerà tutto pelle e ossa. La rottura definitiva tra i due si compie quando Ginevra Trevi, la ragazza ebrea amata da Almo, sarà fatta salire dai tedeschi insieme agli altri familiari su un vagone piombato per Auschwitz.
I due Marinelli, «quelli che non accettano ricatti», col passare del tempo finiscono ai margini dei loro movimenti:
«... Almo, funzionario nella sede del PCI di Padova con uno stipendio di fame, non fa altro che scrivere e cancellare; e Marino, avvocato che ha la brutta abitudine di farsi pagare le rare parcelle con un cappone o un pollo perché in fondo ha ancora l'animo del sindacalista, sprofonda nei libri e nei suoi appunti... e anche se i partiti li trattano come roba vecchia e fallita, come scorie tossiche d'un recente passato da dimenticare in fretta, loro rimangono attaccati alla loro fede...».
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Il nome sarà poi dato al figlio del ragazzo che non è più un ragazzo ma non sarà svelato qui, perché l'esito finale dell’indagine, come in un giallo che si rispetti, dev’esser scoperto dai lettori. L'importante è non dimenticare i versi di Alfonso Gatto sottolineati da Marino a ricordo del fratello:
«La mia stanza ha il vuoto che le lasci/Non le manca la sedia, ma il tuo posto/Non manca il giradischi, la tua voce manca e il silenzio di averti accanto/...»
Giancarlo Marinelli, che è anche regista e attore di teatro, padroneggia la materia narrativa con efficacia e ottima tenuta (tenuto conto che il libro consta di quattrocento pagine), e con una fede ben risposta nella scrittura: quella di lenire le ferite del passato. I fantasmi ora si possono finalmente allontanare per mare, come facevano Marino e Almo quando da bambini abbracciati sfidavano l'urlo delle onde.
Per la prima foto, copyright: Andrew Seaman.
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