La scrittura collettiva, tra aspetti positivi e rischi da evitare. Intervista a Gianni Cascone
Parlare di scrittura collettiva molto probabilmente farà storcere il naso a qualche scrittore e ad alcuni lettori. Eppure si tratta di esperimenti che stanno prendendo sempre più piede nel panorama letterario italiano, dimostrando spesso anche un’ampia capacità di saper armonizzare voci di autori che presi singolarmente sono tra loro molto diversi.
Basti pensare ad esempio all’esperimento promosso da SIC – Scrittura Industriale Collettiva che portò alla pubblicazione di In territorio nemico, edito da minimum fax e scritto da oltre cento autori. Ma se questo è rimasto un caso isolato, a rafforzare tale tendenza, in seno ai suoi laboratori di scrittura letteraria (come ama definirli), è Gianni Cascone che da anni coordina ben quattro collettivi, Banchéro, IndiMondia San Lazzaro di Savena (Bologna), Immagici e Pistores a Pistoia, presso il Centro Culturale Il Funaro, arrivando alla pubblicazione di raccolte di racconti ma anche di romanzi, operazione quest’ultima che si rivela ben più complessa.
Proprio in occasione dell’uscita di 1,2,3… Tocca a te!, scritto dal collettivo Banchéro e pubblicato da Giraldi Editore, abbiamo posto qualche domanda a Gianni Cascone, cercando di indagare quali elementi entrano in gioco nella scrittura collettiva di un romanzo.
Banchéro è un nome che cela una moltitudine di scrittori che lei si occupa di coordinare. Cosa vuol dire gestire così tanti talenti e armonizzarli nell’ottica di un libro che abbia una sola voce?
Tenere insieme talenti diversi è il punto di arrivo inevitabile quando non si fa “scuola” ma “laboratorio”. Seguendo negli anni un percorso di ricerca coerente, i talenti maturano e a quel punto un’architettura complessa, quale è un romanzo, è la sfida degna che si deve offrire a chi ormai è autore a tutti i livelli. Nel patto che io e gli autori sottoscriviamo all’inizio dell’impresa risulta chiaro che ogni autore deve fare “un passo indietro” rispetto al proprio ego e al proprio narcisismo; d’altra parte esiste la gratificazione di riuscire in un’opera che magari da soli non si avrebbe la forza di realizzare. Così nascevano le cattedrali medioevali, dall’unione anonima di tante creatività: erano l’espressione di una comunità, più o meno grande. A posteriori posso dire che tutti riconoscono sia il piccolo sacrificio sia la gioia del raggiungimento della meta.
Quanto all’armonia – e qui so che non sarò creduto, ma è la pura verità – questa è il “miracolo” che avviene sempre, nel senso che tutti i lettori ci riconoscono una sola vocalità e restano appunto colpiti dall’armonia dello stile. Nonostante lo si possa sospettare, io non passo il testo alla fine sotto il mio filtro personale; anzi è un mio punto di principio il rispetto delle singole autorialità. Mi sono domandato – ci siamo domandati tutti insieme – come questo avvenga. La riposta che mi sono dato – che ci siamo dati – è la seguente: il lavoro di armonizzazione sta a monte, nel senso che il mio sforzo è quello di creare nel gruppo un clima di collaborazione, di reciproco stimolo, di ascolto profondo che crea quell’armonia che poi decanta nei vari testi.
Aggiungo una nota che probabilmente non dovrei fare: personalmente se si percepisse qualche differenza di stile a me non dispiacerebbe – come appunto dicevo, non mi interessa fare “scuola”, cioè trasmettere il mio modello letterario; mi interessa fare “laboratorio” fra autori, cioè coltivare la differenza; insomma, per usare un paragone felliniano, trovo più vitale La città delle donne che E la nave va. D’altra parte mentirei se dicessi che non sono contento di questa alchimia che ogni volta magicamente si crea.
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Ci descrive come viene portato avanti il processo di scrittura?
Il procedimento di lavoro è il medesimo di tutti i laboratori e le scuole di scrittura creativa. Una volta stabilita la trama e definiti i personaggi, ciascun autore scrive la parte che gli è stata assegnata o che ha scelto; quindi il testo viene letto in gruppo, viene ascoltato e commentato. Credo che anche questo contribuisca molto all’armonia dello stile di cui si parlava prima. Un laboratorio di scrittura è, prima di tutto, un laboratorio di ascolto, verso se stessi e verso gli altri. In questo modo si fa crescere la consapevolezza delle proprie capacità letterarie e di quelle altrui.
Una volta editato il capitolo in questione si procede con il successivo fino al compimento della storia.
Banchéro ha già pubblicato molti romanzi, tra cui Quello che non sei e Ciapa Scioira. Come si stabilisce la storia da scrivere? Come viene organizzato e portato a termine tutto il lavoro preliminare?
Questo è uno degli aspetti più affascinanti del lavoro di scrittura collettiva. Oltre a Banchéro con i miei laboratori ho dato vita ad altri autori collettivi – IndiMondi a San Lazzaro di Savena (Bologna), Immagici e Pistores a Pistoia, presso il Centro Culturale Il Funaro – e la cosa interessante è che le modalità variano non solo da un autore collettivo a un altro, ma anche all’interno dello stesso autore collettivo.
Per quanto riguarda Banchéro, ad esempio, a volte siamo partiti dall’invenzione dei personaggi – direi che questa è la modalità primaria per un gruppo che inizia – e questa è la storia di Quello che non sei. Altre volte siamo partiti dall’epoca – nel caso di Ciapa scioira, che in dialetto sanremese indica la tavola delle lavandaie, quello che interessava al gruppo era di scrivere un romanzo su guerra e Resistenza; altre volte, come nel caso del giallo di cui stiamo parlando o del romanzo Et in Arcadia ego di prossima pubblicazione, si è partiti dall’invenzione della storia per poi declinarla nei vari personaggi.
Quando si concepisce la nuova opera ci si mette intorno al tavolo e ognuno porta il suo prezioso contributo, si fa brain storming, si vagliano soluzioni narrative e densità dei personaggi. Quando ci sono più proposte di trama, le si mettono ai voti e ci si dedica alla più condivisa. Io, in qualità di coordinatore, sto a fare l’avvocato del diavolo o Wolf, che trova soluzioni quando si ritiene di essere finiti in un vicolo cieco.
È stato interessante notare – sia al Banchéro che a San Lazzaro con IndiMondi – come il lavoro preliminare sul thriller abbia preso più tempo delle altre tipologie di storie. Evidentemente il meccanismo a orologeria che richiede sempre il thriller concede meno margini di movimento… un’esperienza veramente notevole, anche perché i thriller che abbiamo scritto sono comunque ben lontani da un whodunit e molto più vicini al ritratto d’ambiente e psicologico.
Quali sono le difficoltà più dure che deve superare come curatore di libri scritti a più mani? E come le affronta di volta in volta?
La difficoltà più grande si pone nei romanzi corali, quali Ciapa scioira o Hotel de Ville di IndiMondi, perché è lì in fondo che si gioca veramente il mio ruolo, quello di fare la “regia” di molte scene, quello di trovare la giusta partitura ritmica. Non è un lavoro che faccio del tutto da solo, partecipa anche il gruppo, ma è un aspetto che comunque pertiene soprattutto a me come curatore, o meglio editor.
Per quanto riguarda lo stile, invece, mi limito a essere redattore, cioè solo a controllare refusi, ripetizioni, punteggiatura, rispettando al 99,99% lo stile di ciascun componente. Se trovo un passaggio irrisolto lo segnalo ai vari autori e loro ci lavorano.
II collettivo Banchéro prevede alcuni membri fissi e altri che cambiano per ogni libro. Come si riesce a integrare un nuovo scrittore all’interno di dinamiche già collaudate?
Il principio del laboratorio è diverso dalla “scuola”, specie da quella che ti propone i ricettari o “diventa scrittore in 12 lezioni”. Si segue un percorso di senso che si sviluppa negli anni per cui il laboratorio diventa come un treno indiano o africano: quando passa ci si sale sopra, a volte ci si ferma, a volte dopo qualche fermata si scende, a volte si scende e poi più avanti si risale… sono tanti i casi, a seconda delle esigenze di ciascun singolo autore. Ciò che rende possibile l’integrazione è l’armonia che lega i componenti del gruppo e soprattutto la loro capacità di apertura e accoglienza, che è sempre grande. E di questo sono garante anch’io. Ma devo dire che non esistono particolari dinamiche, anche per la novità costante delle sfide di cui si diceva poc’anzi.
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Il Teatro del Banchéro di Taggia è il luogo dove lei tiene laboratori di scrittura. Spesso questo genere di attività è sottoposto a critiche che partono più o meno dallo stesso assunto: il talento non s’insegna. Perché è invece importante seguire i corsi di scrittura? E qual è il loro compito?
Credo anch’io che il talento non si insegni. È altrettanto vero però che il talento va coltivato. Avendo collaborato con alcune case editrici mi sono spesso imbattuto in autori giovani dotati di talento ma che magari sono arrivati in fretta a pubblicare senza aver fatto crescere e portato a piena consapevolezza le loro capacità. Non sto parlando di opere acerbe, sto parlando di opere mancate per un mancato confronto.
Ecco, io credo che gli autori che decidono di partecipare a un laboratorio di scrittura trovino lì quel confronto critico di cui ogni scrittore ha bisogno per maturare e crescere; anche i grandi hanno il proprio editor, i propri lettori ideali che li mettono di fronte alle loro difficoltà.
C’è poi un motivo “esterno” al fatto letterario che credo sia di non poco conto: i luoghi di formazione alla scrittura letteraria (mi piace più questa denominazione che quella di “creativa” un po’ mutuata dall’ambiente pubblicitario) essendo in Italia fuori dall’ambiente specialistico delle università – come avviene invece nel mondo anglosassone – offrono un importante “spazio discorsivo” libero, cioè un luogo di dibattito culturale che altrimenti non esisterebbe; e ancora: offrono uno spazio di confronto culturale intergenerazionale, cioè sono luoghi in cui si riuniscono persone non solo di estrazione sociale ma anche di età diversa; si ricostruisce così quel dialogo fra generazioni che la modernità ha programmaticamente interrotto e che invece è importantissimo se vogliamo tornare ad avere un passato e se vogliamo tornare a immaginare un futuro.
Per la prima foto, copyright: rawpixel.com.
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