La rivolta delle sardine. “Rumori Fuori Scena” di Micheal Frayn
Situazione: immaginate un gruppo di persone di varia estrazione sociale e provenienza geografica che, in una grigia sera di novembre, decide di andare a teatro, riempiendo quasi interamente la sala grande di uno dei più importanti teatri italiani. Sono tutti lì per la stessa ragione, ovvero assistere alla messa in scena di una commedia che, a partire dal suo debutto londinese nel lontano 1982, ha registrato un successo dopo l’altro, approdando anche sul grande schermo nel 1992. È divenuta ormai un classico del teatro contemporaneo e si contraddistingue per una scenografia piuttosto importante (per non dire imponente) e un testo altrettanto impegnativo. In quella sala così variegata, a fine spettacolo, ci si accorgerà di un fenomeno che ha ulteriormente accomunato tutti i presenti: le risate pressoché ininterrotte per tutte le due ore e mezza di spettacolo. Di cosa stiamo parlando esattamente? È arrivato il momento di contestualizzare. La commedia in questione è la celebre Rumori Fuori Scena di Micheal Frayn, siamo al Piccolo Teatro Strehler di Milano ed è Valerio Binasco a cimentarsi nella regia insieme a uno straordinario gruppo di attori, i responsabili di questa “epidemia della risata” che si protrarrà sulle scene milanesi sino al 10 novembre.
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Le componenti di questo geniale meccanismo comico sono semplici, ma perfettamente amalgamate. Il primo elemento che salta all’occhio è l’evidente dimensione metateatrale. Il famoso espediente della play-within-the-play è portato all’ennesima potenza in questa pièce che racconta le peripezie di una sgangherata compagnia teatrale alle prese con intrighi, liti, flirt e ogni genere di problema. I retroscena e le diverse nevrosi da palcoscenico che assalgono gli sfortunati protagonisti vengono messi a nudo costruendo una «una tranche de vie autobiografica», come ha dichiarato lo stesso Binasco in un’intervista, in cui ogni uomo o donna di spettacolo può identificarsi. Ma possiamo farlo benissimo anche noi. The showmust go on per tutti, come si suol dire, quindi si improvvisa, ci si adatta e si prova a non perdere la calma, seppur con scarsi risultati. Frayn decide di mostrarci tutto questo presentandoci un’opera apparentemente classica nella sua struttura in tre atti, ma innovativa nell’attribuire a ogni atto una funzione precisa e volta a raccontarci le varie fasi della messa in scena di un’opera teatrale.
È possibile individuare due punti di forza in questo nuovo adattamento proposto da Binasco. Il primo è di sicuro il testo della commedia, un testo difficile per via del ritmo serrato delle battute, che, tuttavia, si presta a possibili nuove aggiunte e trasformazioni, come nel nostro caso. La regia sceglie di utilizzare, infatti, una nuova traduzione dell’opera realizzata da Filippo Ottoni e la arricchisce di nuove battute e gag che non sono presenti nella versione originale, né tantomeno in quella cinematografica. Eppure, funzionano benissimo. L’ironia si mantiene alla perfezione e viene anzi amplificata, dimostrando la totale appropriazione del testo da parte di questi talentuosi attori. Interessanti in questo senso sono anche alcune scelte registiche che integrano l’idea di rottura della quarta parete già presente nel testo di Frayn, come la presenza degli attori in scena all’ingresso del pubblico in sala, oppure durante il passaggio tra un atto e l’altro, senza dimenticare il simpatico coinvolgimento dei tecnici audio nell’azione scenica.
La difficoltà del testo, però, dipende anche dalla sua stretta dipendenza con una scenografia estremamente precisa e ricca di dettagli che costituisce, allo stesso tempo, il secondo punto di forza di questo riuscitissimo adattamento. Quella che vediamo sul palcoscenico è una scena costruita su due piani che riproduce l’interno di un villino di campagna. È una scena mobile che ruota e si trasforma insieme ai personaggi ed è composta da una miriade di porte e oggetti di scena tra i più disparati. Il lavoro di Margherita Palli, a tal proposito, è encomiabile. Scenografia e testo danno il meglio di sé nel secondo atto quando assistiamo a una delle tante repliche dello spettacolo, ma da un originale punto di vista, ovvero da “dietro le quinte”. La scena viene letteralmente fatta ruotare – con tanto di personaggi in scena – sottolineando ancora di più il desiderio dell’autore di mostrarci i retroscena di una tournée teatrale.
Menzione speciale va alle incredibili prove attoriali del cast di questa splendida produzione. Al di là di ciò che verrebbe più naturale pensare, mettere in scena un’opera che oscilla tra la farsa e la commedia, come in questo caso, è ancora più arduo del mettere in scena una tragedia classica, perché il rischio è sempre quello di sfociare in caricature banali. Gli artisti in scena al Piccolo, invece, danno vita a personaggi credibili seppur intrinsecamente comici. Tra i principali responsabili dell’esplosione di risate in sala ricordiamo Andrea di Casa (Garry Lejeune/ Roger Tramplemain), Milva Marigliano (Dotty Otley/ Sig.ra Clackett) e Fabrizio Contri (Selsdon Mowbray/ uno Scassinatore), anche se l’intesa tra il cast è tanto forte da rendere difficile la scelta di una performance di spicco sulle altre. Gli attori dimostrano di essere un gruppo coeso, complice e dal talento innegabile. La complicità è fondamentale in uno spettacolo come questo, dove scompare la distinzione tra personaggi principali e secondari. Le già accennate modifiche al testo permettono agli interpreti di essere protagonisti della commedia in egual misura. L’esempio principale è fornito dai ruoli di Giordana Faggiano – che interpreta Poppy Norton Taylor, l’assistente di scena – e Ivan Zerbinati – che ricopre il ruolo di Tim Allgood, il direttore di scena – e le cui parti nel testo originale risultavano minori.
L’intento di Binasco e, naturalmente, di Frayn è individuabile all’interno di quel delicato equilibrio che regge l’intera pièce nella sua duplice rappresentazione – quella che vediamo noi spettatori in sala e quella che tenta di mettere in scena la compagnia. L’intero espediente comico, infatti, si costruisce sull’alternarsi di entrate e uscite dalle innumerevoli porte in scena di personaggi e… piatti di sardine. Le sardine hanno un ruolo chiave nello spettacolo sia per quanto riguarda la trama, sia per il messaggio che il regista e l’autore vogliono comunicarci. Ancora una volta è il teatro a fungere da metafora per la vita, ma questa volta lo fa per mezzo di porte e sardine. È proprio Lloyd, il regista interpretato dallo stesso Binasco, a spiegarcelo quando sentenzia che «è di questo che si tratta: porte e sardine. Entrare e uscire. Fare entrare le sardine, fare uscire le sardine. La farsa è così. Il teatro è così. La vita è così».
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Nelle note di regia, Binasco, in perfetta simbiosi con il suo personaggio, fornisce un ulteriore chiarimento in questo senso. Rumori fuori scena vuole spingersi oltre al semplice intrattenimento per generare quella che il regista chiama «rivolta contro la pesantezza comune del vivere». Un po’ come sosteneva anche Jonathan Swift, quando nel XVIII secolo, affermava baldanzoso che era la risata il mezzo con cui preferiva mettere in atto le sue riforme, invece di usare la forza bruta. Le sardine (e le risate) sono, dunque, per Frayn e Binasco un invito a prendere la vita con leggerezza, senza mai scoraggiarci e con il sorriso sulle labbra. Ce lo ricorda, con qualche piccola variazione, anche Selsdon su quel palcoscenico nella sua importantissima battuta finale: «Quando la vita non offre altro che dolori e incertezze, non c’è niente di meglio che un bel piatto di…acciughe!».
Dal 30 ottobre al 10 novembre
RUMORI FUORI SCENA
di Michael Frayn
traduzione Filippo Ottoni
regia Valerio Binasco
con (in ordine alfabetico):
Francesca Agostini, Valerio Binasco, Fabrizio Contri, Andrea Di Casa, Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Milvia Marigliano, Nicola Pannelli, Ivan Zerbinati
scene Margherita Palli
costumi Sandra Cardini
luci Pasquale Mari
regista assistente Roberto Turchetta
assistente regia Benedetta Parisi
assistente scene Marco Cristini
assistente costumi Alice Rinaldi
produzione Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale
Le foto sono di Giampiero Assumma. La fonte è qui.
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