La regina Elisabetta nei panni di una detective
Dopo numerosi romanzi per ragazzi, la scrittrice S.J. Bennett si è cimentata con la narrativa per adulti aprendo una serie di “cosy crime” la cui protagonista è nientemeno che la regina Elisabetta II. Al primo volume di quella che si prospetta come una lunga saga, Il nodo Windsor. Sua maestà la regina indaga (Mondadori, 2021 – traduzione di Monica Pavani), si affianca ora Un problema da tre cani (Mondadori, 2022 – traduzione di Monica Pavani)
Siamo nell’autunno del 2016 e dopo aver risolto nell’ombra un omicidio avvenuto nel castello di Windsor, la regina si trova nella reggia londinese di Buckingham Palace, di cui si prospetta un’impegnativa e costosissima ristrutturazione, ma diversi altri problemi contribuiscono ad aumentare le sue preoccupazioni, tra l’imminente referendum sulla Brexit e le prossime elezioni americane che vedono in competizione Hilary Clinton e Donald Trump: un quadro a cui teneva scompare e velenose lettere anonime guastano i rapporti tra i dipendenti del palazzo, fino al giorno in cui una governante viene trovata morta nella piscina coperta attigua al palazzo. Sembrerebbe un tragico incidente, ma né la regina, né la sua fidata assistente Rozie sono convinte che le cose siano andate in quel modo… c’è proprio bisogno di qualche lunga passeggiata con i tre amati cani per cercare di schiarirsi le idee.
Sophia Bennett, che vive a Londra, ha risposto via web alle domande dei blogger su questo suo secondo romanzo “elisabettiano”.
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Come si affronta un personaggio reale, oltre che regale? La cosa non le ha creato qualche problema, almeno all’inizio?
Quando ho avuto l’idea mi sono subito chiesta se fosse consentito inserire la sovrana in un contesto di fiction, o se dovessi magari richiedere qualche permesso, o delle autorizzazioni particolari per descrivere gli ambienti reali. Poi mi sono data da sola la risposta, nel senso che la regina è apparsa già nella serie tv The Crown, ed è protagonista di diversi altri romanzi di autori inglesi, tra cui quelli di Alan Bennett (che non è mio parente), e non si è mai lamentata. Mi sono detta che andavo a collocarmi in una lunga tradizione, e questo mi ha reso più sicura di me.
C’è del resto un filone già affermato di personaggi celebri inseriti in opere di narrativa che sono parto della fantasia degli autori: Angela Merkel, Caravaggio, Oscar Wilde… è una tradizione interessante e già abbastanza corposa.
Ho anche fatto questa considerazione: se collochi una persona vera e ancora viva in un’opera di narrativa, devi comunque farlo in un contesto rispettoso e affettuoso. Anche se qua e là prendo un po’ in giro la famiglia reale, tratto tutti i personaggi, a partire dalla regina, con molto affetto e molto rispetto. Se qualcuno di quel mondo mi sta poco simpatico, evito di farlo comparire nei miei libri.
Perché questo titolo?
L’espressione proviene da un racconto di Sherlock Holmes, che quando è alle prese con un problema spinoso si prepara tre pipe da fumare, e quindi si parla di un “problema da tre pipe”, mentre la regina porta a spasso i suoi tre cani. L’idea del racconto mi è piaciuta molto e mi è rimasta impressa, ma ci sono anche gli eschimesi che, quando fa molto freddo, si circondano di tre cani Husky per farsi scaldare, da cui si dice “una notte da tre cani”.
Da dove è nata l’attenzione per la collezione italiana dei quadri della regina, e in particolare di quelli di Artemisia Gentileschi?
Avevo appena scritto un libro sulle artiste per la Tate Gallery e Artemisia Gentileschi mi aveva colpito in modo particolare: era stata famosa, ma poi è quasi sparita dalla storia dell’arte. La sua vicenda spesso si risolve parlando solo del processo per stupro, mentre io volevo celebrarla. A parte il famoso autoritratto, che è uno dei miei pezzi preferiti della collezione reale, gli altri quadri di Artemisia di cui parlo però non esistono, me li sono inventati! La pittrice comunque rientra anche in uno dei temi del libro, quello che riguarda il modo in cui le donne vengono maltrattate e trascurate, anche quando sono famose e potenti. Capita ad alcuni personaggi, è capitato a Hilary Clinton che qui perde un’elezione, magari è capitato anche alla regina.
Ha ambientato la storia in un contesto particolare, quello della Brexit. Questa scelta serviva a mettere in luce aspetti particolari della regina o di altri personaggi?
Il mio primo libro era ambientato nel castello di Windsor all’epoca del novantesimo compleanno della regina, quindi nella prima metà del 2016. Del libro successivo sapevo che l’avrei ambientato a Buckingham Palace e che la vittima sarebbe morta per un taglio da un frammento di vetro. Poi mi sono chiesta cosa fosse successo nel 2016 e ho trovato molti fatti, tra cui la morte di Bowie e Prince, ma soprattutto la lite nazionale e accanita attorno alla Brexit, poi la sconfitta di Hilary Clinton. Tornava il tema di donne di una certa età che perdono potere o vengono scartate, e che si è inserito in modo naturale nel libro. L’atmosfera appare tesa per questi motivi.
I reali inglesi affascinano un po’ tutti da sempre e la regina è una delle persone più fotografate filmate e raccontate della storia. Qual è il suo rapporto personale con questa figura che fa parte della nostra vita da decenni?
Ci sono due aspetti di questa cosa: da scrittrice per me la regina è la protagonista perfetta perché tutti la conosciamo e abbiamo una nostra immagine mentale di lei, perciò il lettore capisce subito di chi sto parlando. Però la regina non concede interviste, per cui anche se è sempre in scena alla fine ciò che lei pensa rimane per noi un mistero, soprattutto quando non è sotto l’occhio delle telecamere. Mio padre ha conosciuto la regina e anche molte persone che si muovono attorno a Buckingham Palace, per cui me ne ha parlato parecchio.
Di altre celebrità noi sappiamo tutto, quindi non c’è spazio per parlarne, ma della regina no. Lei ha una sua privacy e una sua riservatezza.
Elisabetta II era sul trono da ben prima che nascessi e questo fa capire quanto sentiremo tutti la sua mancanza. Fino a che punto arriva la sua popolarità? Cosa significa l’avere avuto lei come figura di punta del nostro paese, una figura così amata e stimata? Questo vorrei che rimanesse.
Pensa di aver contribuito al mito con i suoi libri?
Io non voglio dare l’impressione di pensare che la regina sia perfetta. Potrei scrivere un libro anche su tutti gli errori che ha commesso: per esempio, non ha sempre la mano felice nei rapporti con i suoi familiari. Io ho cercato più che altro d’inserirmi in una tradizione della narrativa gialla. Oggi va di moda il noir di tipo scandinavo, mentre io seguo il modello di Agatha Christie.
Cosa potrebbe insegnarci di positivo la regina, soprattutto alle donne?
Sia la regina, sia la principessa Anna direbbero che tutto quello che hanno potuto fare l’hanno fatto perché sono state trattate come degli uomini, anche se ogni tanto la regina viene un po’ messa da parte con la scusa dell’età. A questo proposito, posso dire che nei prossimi libri parlerò di periodi precedenti della sua vita, per farla agire a un’età diversa.
È interessante vedere come Elisabetta II si è rapportata agli uomini di potere: io credo che abbia imparato a lavorare di fascino e anche ad essere molto diplomatica, ma forse, se fosse nata più tardi, oggi sarebbe più insofferente e meno paziente.
Si potrebbe copiare da lei la sua grande capacità di dialogare con le persone, di evitare di litigare, e soprattutto il grande senso dell’umorismo che ha sempre avuto.
La regina mi ha sempre dato l’idea di una persona che osserva molto, per cui l’idea di farla diventare investigatrice mi è sembrata notevole. Quando ci ha pensato?
Avevo iniziato a scrivere un giallo su un detective, ma non mi veniva bene. Come tutte le idee migliori è venuta dal nulla, forse da un episodio di The Crown in cui la regina osserva un modellino di un campo di battaglia, prende in mano un soldatino e lo rimette a un posto sbagliato. Questo non sarebbe mai successo, perché mio padre mi ha spiegato che la regina è esperta di tattiche militari e non avrebbe mai commesso quell’errore. Proprio perché è sempre sotto i riflettori, io penso che noti certe cose che gli altri non vedono. Chi meglio di lei può conoscere i palazzi in cui vive? Io ho dovuto fare un sacco di ricerche per parlarne.
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Questo è un “cosy crime”, un giallo con elementi spiritosi e divertenti. La scelta di approdare a questo genere le è venuta naturale?
Sì, perché io propendo per il genere comico: ho provato a scrivere cose più letterarie e ponderose, ma la cosa non mi piace. Adoro Wodehouse e mi piace divertire i lettori, offrire qualcosa che alleggerisca l’atmosfera pesante di questi tempi. Questa tradizione risale all’età aurea del giallo, ma da qualche tempo in Inghilterra è molto richiesta, quasi una moda nazionale: si cerca qualcosa con poca violenza, con meno sangue rispetto al noir. Io scrivo pensando soprattutto ai miei lettori ideali, a partire da mia madre che ha sempre letto molti gialli.
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