La reazione della folla davanti all’ignoto. “Dopo il diluvio” di Leonardo Malaguti
Una pioggia incessante si abbatte su un piccolo paesino situato in una conca di una non meglio specificata zona montuosa (probabilmente nell’Europa centrale della prima metà del Novecento) gettando gli abitanti nello sconforto e nel panico: questa è solo l’antifona che permette a Leonardo Malaguti di creare il clima adatto alla rappresentazione di ciò che avverrà, appunto, Dopo il diluvio (Exòrma Editore, 2018).
L’acqua non defluisce e allaga il paese, causando danni e morti. L’avvenimento più sconcertante, però, è il ritrovamento di un cadavere a tappare il defluire dell’acqua nel canale di scolo. Da lì parte l’inchiesta: il commissario Van Loot tenta di venire a capo di questo delitto, cercando indizi sparsi qua e là, interagendo con i vari bizzarri personaggi del paese. Quello che emerge è un quadro sconclusionato e per nulla lineare, e la percezione del povero investigatore, assieme a quella dell’ignaro lettore, è che qualcosa di più grande e di collettivo stia accadendo, qualcosa da cui tutto il paese non scamperà.
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Leonardo Malaguti dipinge scene, luoghi e personaggi che hanno un che di surreale e grottesco e creano un perfetto senso di straniamento: dalla casa delle prostitute (che risultano essere forse i personaggi più sinceri e onesti), alla madre del commissario, al contadino Marz, fino al Pastore Thulin, assiduo frequentatore del bordello. I riferimenti religiosi e politici sono sovvertiti. Veniamo a capire che il sindaco è un meschino attentatore all’innocenza dei bambini; il Pastore è tutto fuor che una guida di sincera fede e devozione: strumentalizza la sua figura per far leva sulla paura della gente e per mantenere un ruolo di supremazia che gli garantisca rispetto e incolumità. E poi, verso la fine, compare un personaggio emblematico e ambiguo, il Generale Krauss, il burattinaio, colui che tenta di giocare a essere Dio, inutilmente. Sorge spontanea la domanda su chi possa rappresentare quest’uomo amante della letteratura che vuole fare un esperimento con gli altri uomini, che vuole imporsi con la sua superiorità. Il commissario stesso, infine, resta un inetto che vede tutto ma non può fare nulla. Insomma, in questo tunnel di personaggi indefinibili e strani, ci si chiede continuamente cosa simbolizzino, chi siano veramente, e se qualcuno di loro raffiguri lo scrittore stesso.
Anche dopo che il diluvio si è calmato e l’acqua è scesa, crescono il terrore e lo smarrimento dovuti alla perdita di punti di riferimento e al paventato futuro arrivo di un possibile “nemico”, annunciato da un telegramma. Questo fatto contribuisce a fornire agli abitanti tutti gli elementi necessari per degenerare nel caos più totale. Un “nemico” è alle porte, ma il fatto interessante è che, nonostante il mormorio e la paura a riguardo, nessuno si interroghi su chi possa essere questo nemico, da dove venga e cosa voglia. Nessuno tenta di andare fuori dal paese alla ricerca di spiegazioni e di chiarezza. Nessuno fa qualcosa di concreto per uscire dall’isolamento.
Le immagini sono turbolente e paradossali, in un crescendo convulso che, di fatto, non si risolve in nulla: Leonardo Malaguti presenta una sorta di movimento circolare dei personaggi all’interno del paese, ma nessun movimento lineare che tenda verso qualcosa. Il loro è un moto tanto febbrile quanto mortifero, un formicaio senza via d’uscita, senza vera tensione vitale, che culmina solo nella paranoia estrema. Dopo il diluvio, la paura del “nemico” guida tutti verso un’ossessione insensata e ingiustificata.
La scena della folla davanti alla casa delle prostitute è emblematica: la ricerca di un capro espiatorio, la mancanza di ragionevolezza e due spari bastano a far sfociare la gente in una situazione di panico in cui tutti scappano, la violenza e la degenerazione dilagano. Sembra implicito il messaggio quasi manzoniano rispetto alla mancanza di ragionevolezza delle folle: la gente si identifica con il gruppo ed è incapace di seguire pensieri autonomi e isolarsi dalla massa, che diventa un grande corpo senza cervello, pericoloso e aggressivo. La folla non ha pietà, è scomposta, spinta solo dall’istinto di conservazione. E in essa anche il singolo individuo perde la sua moralità. Il tutto rimanda anche all’analisi boccaccesca della società durante la peste che troviamo nel Decameron, dove i valori vengono rovesciati, regna l’irrazionale, l’individualismo, l’egoismo e perfino i legami familiari più forti non reggono e si disintegrano.
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Sembra insomma che davanti a una calamità naturale (il diluvio) o umana (il “nemico”) l’unico effetto possibile sia la disgregazione della società e il ritorno a uno stato animalesco/primitivo. E in questo climax di tensione crescente solo un sacrificio potrà placare la brama violenta del corpo-massa.Quello che succede è difficilmente collocabile o categorizzabile: il lettore cerca di capire quale sarà il senso ultimo, ma non riesce a orientarsi facilmente. Leonardo Malaguti ci offre tanti punti interrogativi che restano senza risposta. Dopo il diluvio lascia un certo retrogusto amaro e una sensazione di smarrimento rispetto a ciò che viene compiuto in questo paese e rispetto ai suoi singoli abitanti che in fondo, forse, non sono altro che la macabra rappresentazione dell’umanità intera.
Per la prima foto, copyright: Jasper van der Meij.
La terza foto è di Alice Verti.
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