La Puglia allo specchio – Combattimento tra cani
Ringhia, ringhia forte il pastore tedesco proteso contro un incurante pit bull bruno. A un metro Enver, un albanese biondiccio, basso e tarchiato come Vladimir Putin, si gode la scena. È l’addestratore del molosso contro il quale spaventato si vorrebbe scagliare il pastore, ma a trattenere il primo cane c’è un altro uomo, Mazzacani, un organizzatore di combattimenti clandestini tra cani. Mazzacani è uno dei più bravi della città, un’assicurazione per gli scommettitori, ma soprattutto per i clan.
Mazzacani sceglie gli avversari dei cani di Enver, decide il campo di battaglia, convoca il pubblico, raccoglie il denaro e paga i vincitori e i clan. Il suo è un mestiere complicato, in giro per canili e campagne a raccattare cagnacci da buttare nell’arena, per farli scannare dai pit bull dei boss. E sì, perché ogni cane verrà ammazzato, in combattimento o fuori, ma vince chi scommette sul tempo di resistenza della vittima. I pit bull allenati da Enver non hanno rivali. Sono una cinquina di lottatori placidi e assassini, imbattibili. Enver li addestra con un’alimentazione ricca di ormoni, ma un paio di giorni prima del combattimento li affama e li asseta per incattivirli, affinché desiderino carne sanguinolenta e viva, poi, quando sono nel campo prescelto, gli strizza i coglioni per farli incazzare sul serio e li aizza contro il malcapitato avversario.
Mazzacani, invece, sceglie i cani a gusto suo, seguendo una logica imperscrutabile, interiore: li seleziona tra i più mordaci, sì da dare l’idea di un combattimento vero, poi li stanca e li innervosisce nel suo canile privato non facendoli dormire, infine li conduce a morte certa sapendo che con la rabbia che hanno in corpo venderanno cara la pelle.
Quella domenica a mezzogiorno Mazzacani e Enver si strizzano un occhio. Enver calcia la sua bestia sulle palle, Mazzacani libera il suo pastore. I due cani non si guardano, si avvitano in un turbine. La polvere del campo si alza con i latrati, oscura i corpi degli animali, nasconde la lotta. Nessuno del pubblico osa dire la sua, tutt’intorno all’arena è silenzio di tomba. Si aspetta la morte. Trascorrono i secondi e comincia a sentirsi un guaito di dolore. La polvere si dirada e appare un unico mostro a due teste, solo che una addenta il collo dell’altra e lo scuote. Sulla terra sotto i cani il sangue si mescola a un orecchio, a lembi di pelle e di carne. Mazzacani fa un gesto a Enver e, prima che gli scommettitori rivendichino i loro soldi, l’albanese ferma il pit bull. Il pastore non può credere ai suoi occhi, s’era già dato per morto. Con la coda, o quel che ne resta, tra le gambe si avvicina a Mazzacani, lo guarda afflitto come per chiedergli il perché di quel duello insensato. Gli animali non subiscono il fascino del denaro. Mazzacani gli sferra un calcio e il cane cade riverso su un lato. Ha resistito anche troppo per i suoi gusti, ora dovrà rimetterci un po’ di quattrini, quindi chiama un suo scagnozzo, si fa portare le ricevute e comincia a chiamare gli scommettitori per numero. Alla fine non ci ha rimesso, perché in tanti avevano puntato sulla sconfitta in meno di cinque minuti. Ha incassato 6000 euro netti, 10 000 ricevuti, 4000 pagati. Per una lotta di 10 minuti è una somma più che dignitosa. Rapidamente Mazzacani fa due conti: per il cane ha speso sì e no 300 euro, per il posto e tutto il resto 1000, ai Parisi deve consegnare la metà dell’incasso, 3000 euro, quindi gli restano oltre 2000 euro, di cui 500 a Enver…
Non ha il tempo di terminare i calcoli che uno ha tirato fuori una pistola e ha cominciato a minacciare perché voleva incassare di più. Mazzacani gli si è avvicinato e ha alzato la voce intimandogli di rimettere a posto la pistola, altrimenti ne avrebbe parlato a chi sapeva lui. Allora quello s’è calmato, e se n’è andato gridando che non avrebbe più scommesso una lira sui cani di “quell’albanese di merda”. Una decina di scommettitori lo hanno seguito, avviandosi verso le loro grosse automobili.
Mazzacani torna indietro, chiama il suo capo e gli racconta il fatto e quello risponde che la cosa la sistema lui. Dopo, il capo si fa raccontare la lotta, l’incasso, e se ne compiace. Il guadagno tutto sommato è buono, un po’ al di sotto delle previsioni ma va bene lo stesso.
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Mazzacani chiude, raggiunge Enver e gli chiede di far entrare il suo secondo pit bull. Enver obbedisce, mentre lui tira fuori dalla sua auto il suo secondo cane, un bastardo fulvo come un setter ma più alto. Il combattimento va meglio del primo, le scommesse pure. A gioco terminato lui e Enver possono tornare a casa con un bel gruzzolo in tasca. Qualche scommettitore piange, altri ridono. Chi ha perso rincasa deluso, ma si ripromette di rifarsi la settimana successiva. Dove? Lo deciderà Mazzacani e li informerà.
Il secondo cane è uscito pesto più del primo. Mazzacani li carica nel bagagliaio della sua Duna Station Wagon e parte verso Noci. Prende una salitella e svolta a destra per una strada di campagna. Ferma l’auto davanti a una sbarra. Smonta, apre il bagagliaio, fa scendere uno dei due cani, recupera una busta di plastica da una tasca del suo cappotto e la infila sulla testa del cane annodandogliela al collo come un cappio. Dopo qualche rantolo il cane soffoca. Il secondo, che ha assistito alla scena, si appiattisce contro il retro dello schienale del sedile posteriore, ma Mazzacani non s’impietosisce e compie anche con questo la medesima operazione. Rientra in macchina e parte, lasciando i cadaveri lì, tra querce e cespugli, a far la guardia alla morte.
Uscito dalla provinciale di Alberobello, Mazzacani s’immette sulla 16bis. È stanco e ha fame. Si ferma a Forcatella per mangiare un piatto di linguine alla polpa di riccio. Non desidera altro, e un mezzo litro di bianco fresco. Imbrunisce, il sole tramonta presto d’inverno. Mazzacani si alza da tavola verso le quattro e mezza e si rimette in macchina per arrivare presto a Bari. Il pranzo gli ha messo voglia di scopare, si fermerà da una brasiliana a Torre Quetta. Accelera per quel che regge la sua Duna e in mezz’ora è tra le gambe della ragazza. Mezz’ora dopo è già fuori a pisciare davanti al cancello di un covo di surfisti. Scaricata la vescica può finalmente tornare a casa, tra Santo Spirito e Enziteto, dove ad aspettarlo ci sono i suoi cani. Latrano e sbavano per la fame e la sete, girano a vuoto nelle gabbie in preda agl’istinti più bassi. Mazzacani li sfama e li disseta lanciando il cibo dall’alto della cancellata delle gabbie e riempiendo d’acqua di pozzo un mezzo bidone di plastica aperto su due lati: da un lato c’è lui, dall’altro la prigionia. I cani mangiano e bevono voracemente, e Mazzacani li osserva. Li osserva a lungo prima di entrare in casa e di farsi finalmente una doccia calda.
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