La psicologia nella Medea di Seneca
Il dramma di Seneca narra, analizzandone la psicologia, la vicenda di Medea, figlia di Eeta re della Colchide, la quale, innamoratasi di Giasone, condottiero della nave Argo, la prima che salpò il mare la generazione precedente a quella della guerra di Troia, aiutò quest’ultimo nel furto del vello d’oro, donato agli abitanti della Colchide dal dio Apollo. La ragazza, pur di collaborare con il suo amato guerriero, compie atti orribili, ignobili, che rasentano la crudeltà più efferata: un esempio è l’uccisione del proprio fratello con conseguente lacerazione del corpo che viene gettato in mare per permettere la fuga ailadri del vello d’oro; un’altra vicenda cruenta è legata alla sua capacità di persuadere le genti tanto da far loro compiere ciò che desidera: in particolar modo ella convince le figlie dello zio del suo novello sposo, Giasone, a fare a pezzi Pelia, loro padre, sostenendo che in tal modo sarebbe ringiovanito. Stigmatizzata in tutto il mondo greco, esiliata da ben due città, ella si rifugia a Corinto insieme a suo marito e ivi hanno luogo le vicende narrate nel dramma senecano.
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Per non inimicarsi il re Creonte, Giasone accetta di sposare Creusa venendo meno al vincolo nuziale con Medea e scatenando così le sue ire. La descrizione di Medea è quella psico-fisica di una donna che vede un crescendo di furor ma che, in certi momenti, si trova in bilico tra l’agire e il trattenersi, in uno stadio intermedio in cui non sa come interpretare il primus impetus. Questo ondeggiamento tra l’azione e la non-azione è molto evidente, citando un episodio significativo, nell’ultima fase della tragedia, dove pensa e vuole uccidere i suoi due figli per rendere funesta la vita di Giasone. Ella, da un lato, è spinta dalle Furie che le dominano il corpo e l’anima, da una mania totale (psichica e fisica), ma, dall’altro lato, scaturisce in lei il ricordo di essere madre, di non volere il male dei propri figli ed è per questo motivo che si legge «i suoi occhi si riempivano di lacrime», ;in un lampo, subito dopo, la furia divampa ancora e in un impetus compositus, in uno slancio finale di volontà vendicativa, decide di uccidereentrambi i figli. Ciò che è utile notare è la continua oscillazione tra due bipolarità ciclotimiche: lo sconforto, il terrore e la depressione nel ricordo di essere madre e la mania, nel ricordo dell’oltraggio subito e dell’abbandono da parte del marito. Un altro episodio chiarificatore è riscontrabile nelle prime scene in cui, in lei, si nota l’ascensione del furor, a causa del quale si passa da un rapido ictus animi al primus impetusauno stadio intermedio, e all’interno di quest’ultimo inizia a meditar la vendetta nei confronti di Giasone combattuta tra la volontà vendicativa e la melancolia dovuta al tradimento.
«…così lei corre di qua e di là con movimento selvaggio, sul volto i segni della forsennata pazzia: infiammato è il suo viso, lei chiama dal profondo del petto il respiro, grida, solca gli occhi di abbondante pianto, sogghigna…minaccia, sospira, si lamenta, geme” (la nutrice su Medea); “Il suo volto con le pupille in continuo movimento per l’ira è vitreo, duro…bruciano le sue guance rosse, il pallore mette in fuga il rossore…»(il coro su Medea).
Nelle due brevi descrizioni in oggetto si può ben delineare la caratteristica psicologica che erge la protagonista ad autrice del proprio destino e di quello altrui: la bipolarità ciclotimica di mania totale e melancolia. Questi due stadi si guardano, uno di fronte all’altro, si sfidano nella mente di Medea, cercano di prevaricare ma ciò che accade è un perenne succedersi del primo e del secondo che finiscono per miscelarsi in una generale malattia psicosomatica che degenererà in uno stato di disperazione maniaca, di ondeggiamenti continui che non le lasciano scampo e la fanno pendere verso la scelta più feroce: la vendetta estrema. Secondo la medicina pneumatica, di derivazione stoica, cui Seneca faceva riferimento, queste due malattie erano causate dall’infiammazione, rispettivamente, della bile gialla e di quella nera, scatenandosi in un primo momento a livello corporale e venendo poi distribuite in tutto il corpo, anche nella psiche, dal pneuma, ugualmente detto soffio vitale e considerato come un flusso continuo di energia che costituiva ogni parte del corpo umano e che permetteva all’uomo di vivere.
«Ma siano i delitti commessi da te a esortarti e tutti ti tornino in mente!»(Medea a se stessa)
Questo è un momento chiave della vicenda che permette un’interpretazione generale della stessa figura di Medea: ella si dice ciò per prendere slancio e, senza timori o ripensamenti, giungere fino alla realizzazione della sua volontà vendicativa e all’aristia finale. Con queste parole la figlia di Eeta è come se rovesciasse e stravolgesse il codice etico ed epico in quanto sembra che i delitti che commetterà di lì in poi possano valere, siano legittimi, dati tutti quelli già compiuti. Ella, inoltre, non lo fa per la gloria, come i personaggi omerici, ma per trascinare con sé in un destino infausto colui che è la causa di tutti i delitti da lei commessi. Il suo non è un desiderio di vendicare se stessa o una persona a lei cara, come accade per la maggior parte degli eroi epici (si pensi ad Achille con Patroclo), mediante l’omicidio, l’uccisione di colui che aveva causato la perdita, ma è un desiderio di far soffrire, nella maniera più atroce possibile, l’autore della sua disgrazia, compiendo ella stessa nefandezze e atrocità. Vengono così stravolti i codici epico ed etico tradizionali in cui gli eroi non erano mossi da delitti commessi ma dalla volontà di vendicare un amico perduto o per onorare la patria di cui facevano parte.
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In conclusione si può notare come il tragediografo romano riesca a far sì che Medea diventi un personaggio con una profonda psicologia colma di sfaccettature particolari che emergono durante le vicende, la narrazione, che non rimangono sopite negli antri più tenebrosi della sua mente perversa ma esplodono con un furor straordinario capace di coinvolgere il lettore, grazie all’abilità di Seneca, portandolo in una nuova dimensione, tutta originale: quella di Medea e della sua psiche.
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