“La primavera tarda ad arrivare”, il Friuli di Flavio Santi
La primavera tarda ad arrivare (Mondadori, 2016) è il primo romanzo noir di Flavio Santi, uno dei più noti poeti italiani, oltre che traduttore di importanti scrittori anglosassoni e autore di altre opere narrative di diverso genere.
Che cosa ci fa un morto ammazzato nella sonnacchiosa Montefosca, sperduto paesino alle pendici delle Alpi friulane? Drago Furlan, l'ispettore incaricato del caso, ha una bella gatta da pelare: ormai abituato a prendersi cura del suo orto e a verbalizzare multe per divieto di sosta, non indaga su un omicidio da quasi vent'anni. E quello di Montefosca, in più, è un omicidio davvero strano: la vittima, uccisa con un colpo di pistola in mezzo alla fronte, è un anziano di cui nessuno sembra conoscere l'identità. Drago, fisico alla Ernest Hemingway e metodi da ispettore contadino, è costretto a indossare di nuovo i panni del detective: ma è un po' arrugginito, e i montanari («montanari … lupi mannari», come gli ricorda sempre sua madre, la vulcanica signora Vendramina, perfetto prototipo della “mame furlane”), con la loro aspra riservatezza, non gli rendono certo il compito facile. Tra soste in osteria annaffiate da tajut di ottimo vino, partite dell'amata Udinese e gite in Moto Guzzi con l'eterna fidanzata Perla, l'ispettore scopre che quei luoghi che tanto ama, al confine tra Italia e Slovenia, custodiscono segreti inconfessabili. La primavera che scioglie le nevi comincia a far riaffiorare anche i fantasmi di un passato lontano.
L’impressione che lascia la lettura di La primavera tarda ad arrivare è quella di un romanzo a più facce. La narrazione, anche se si apre con la scoperta di un probabile omicidio, utilizza un tono decisamente umoristico nel descriverci la vita del protagonista, ispettore di polizia in un luogo dove per anni non si è occupato che di portafogli smarriti, furti di pollame e litigi tra vicini di casa, e quella dei personaggi di contorno: la madre, la matura fidanzata, gli amici frequentatori dell’osteria.
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Proprio il mondo dell’osteria, tra grandi bevute e discussioni di ogni tipo, senza dimenticare i rituali calcistici legati al tifo sfrenato per l’Udinese che anima il protagonista, ci fa pensare al Bar Lume dei romanzi di Marco Malvaldi, o a certi personaggi descritti da Andrea Vitali, perché la provincia possiede delle caratteristiche di fondo, che non cambiano poi molto da una regione all’altra.
Ma nel romanzo di Santi troviamo anche molte altre cose, a cominciare dall’amore per il Friuli, terra d’origine dello scrittore, che si esprime nelle descrizioni quasi affettuose del paesaggio e nelle citazioni di usi e tradizioni locali faticosamente mantenuti, a dispetto dell’avanzata di una modernità non sempre positiva, a cui non vengono risparmiate critiche soprattutto per l’insensata devastazione del territorio.
Col procedere della faticosa inchiesta dell’ispettore Furlan, impegnato a ricostruire l’identità dello sconosciuto assassinato, ecco però che il tono umoristico e leggero iniziale cede a poco a poco il passo a un registro diverso, mentre prendono lentamente corpo i fantasmi di un passato che in troppi hanno cercato di dimenticare, ma soprattutto di far dimenticare all’Italia del dopoguerra.
Lo svolgimento di quella che potrebbe essere una classica storia poliziesca diventa perciò il punto di partenza per un flash back che ci riporta agli aspetti più tragici delle fasi conclusive della seconda guerra mondiale: nonostante siano trascorsi ormai settant’anni, certe ferite aperte da quel conflitto non si sono mai chiuse nella memoria di chi ne è rimasto in qualche modo coinvolto, anche solo ascoltando i racconti dei superstiti.
Mescolando abilmente i personaggi creati dalla sua fantasia con fatti reali e documentati, Flavio Santi si congeda quindi lasciando al lettore di La primavera tarda ad arrivare più di un elemento su cui riflettere, e forse il desiderio di approfondire certi lati oscuri della nostra storia recente.
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