"La pelle dell'orso", arriva al cinema il bel libro di Matteo Righetto
Esce il 3 novembre nelle sale cinematografiche La pelle dell'orso, tratto dal romanzo omonimo di Matteo Righetto (Guanda, 2013), primo lungometraggio del regista padovano Matteo Segato, già assistente alla regia di Carlo Mazzacurati, poi autore di documentari e regista di alcuni spettacoli di Marco Paolini, che firma insieme a lui la sceneggiatura oltre a coprodurre il film.
Siamo negli anni Cinquanta, in un villaggio dolomitico costituito da una manciata di case ancora circondate da fitte foreste. Pietro, il protagonista magistralmente interpretato dallo stesso Marco Paolini, è un uomo logorato dalla vita: dopo l'esperienza della guerra, ha perso anche in modo tragico la bella e amata moglie, ed è rimasto a vivere col giovanissimo figlio Domenico, che cresce sostanzialmente abbandonato a sé stesso, mentre il padre, malvisto dai compaesani perché considerato un pessimo lavoratore, annega le proprie pene all'osteria.
La vita tranquilla del paesino viene però sconvolta dalla ricomparsa di un misterioso quanto feroce orso, che si aggira sulle montagne facendo strage di animali, fino a insidiare il bestiame dei montanari e le loro stesse abitazioni.
Una sera, mentre nell'osteria si discute appunto di questo, Pietro si offre di catturarlo, scommettendo una cifra enorme per l'epoca con l'uomo più ricco del paese: se perderà, dovrà lavorare gratis per lui per un anno, ma se vincerà riceverà l'equivalente di un anno di paga, cifra con cui potrebbe sistemarsi per un bel pezzo.
Pietro parte dunque per la sua spedizione, a cui finisce per aggregarsi Domenico. Per qualche giorno, padre e figlio vagheranno per boschi e sentieri alla ricerca dell'orso, fino all'incontro risolutore, ma il viaggio li condurrà soprattutto a rinsaldare il loro precario rapporto, oltre a costituire per Domenico il brusco passaggio dall'infanzia all'età adulta.
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Rispetto alla vicenda narrate nel romanzo originale, la sceneggiatura ha operato alcune modifiche, sostituendo uno dei personaggi secondari e anticipando il momento in cui si svolge la storia. Nel libro l'azione era infatti collocata nel 1963, andando a sfiorare nel finale l'immane tragedia del Vajont, mentre qui siamo negli anni Cinquanta, così da mostrarci il mondo alpino in cui si svolge la vicenda come ancora più chiuso e arretrato. Un mondo in cui erano davvero durissime le condizioni di vita degli abitanti dei villaggi, che prima di diventare località turistiche come sarebbe accaduto nei decenni successivi erano spesso minuscole frazioni di poche case, condannate all'isolamento per molti mesi all'anno.
A parte questo leggero spostamento temporale, il film punta tutto, come già il libro, sul rapporto padre-figlio, fatto di lunghi silenzi e di dialoghi frammentari, attraverso i quali il giovane Domenico cerca con fatica di conoscere meglio il padre, ma soprattutto di ricostruire il passato della famiglia e la figura della madre scomparsa troppo presto, di cui conserva solo pochi ricordi. Il regista racconta questo rapporto attraverso intensi primi piani dei protagonisti, dove le espressioni dei volti esprimono i sentimenti più delle parole.
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Accanto a Pietro e a Domenico, però, c'è una terza protagonista, ed è la montagna. La magnifica fotografia del film regala allo spettatore la sensazione di trovarsi al centro di scenari grandiosi, oppure nel cuore di foreste quasi impenetrabili, a contatto con una natura incontaminata e selvaggia, che può rivelarsi per l'uomo al tempo stesso madre e matrigna.
Tutto questo fa senz'altro di La pelle dell'orso un film che vale la pena di vedere, soprattutto se si è già apprezzato da lettori il bel romanzo di Matteo Righetto.
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