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La paura delle epidemie dal medioevo a oggi. Intervista a Chiara Frugoni

La paura delle epidemie dal medioevo a oggi. Intervista a Chiara FrugoniPaure medievali. Epidemie, prodigi, fine del tempoesce per il Mulino, lo firma la storica Chiara Frugoni, e non c’è titolo più azzeccato, spunto di riflessione dal tempismo migliore. Servono solo i lettori, la pazienza di cogliere i collegamenti, comprendere che quel passato lontano, il medioevo, appunto, è terribilmente presente. Che le nostre paure, contemporanee, sono figlie di quelle paure di cui Chiara Frugoni ci fornisce uno straordinario affresco.

Il libro si suddivide in La paura della fine del mondo, La paura della fame e della miseria, La paura del diverso, La paura delle malattie, in particolare la lebbra, La paura delle epidemie, la peste.

Lo straordinario sta nel modo in cui Chiara Frugoni tratta l’argomento, affiancando le immagini ai documenti scritti e creando in questo modo un nuovo modo di «leggere» la storia.

In occasione dell’uscita del libro, assieme a Chiara Frugoni abbiamo approfondito alcuni dei temi trattati in Paure medievali. Epidemie, prodigi, fine del mondo.

 

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La prima domanda che vorrei porle si suddivide in due momenti. Da un lato, la fame, la paura della fame rende l’uomo simile all’animale, ovvero, indifeso, fragile, esposto. Dall’altra parte, oggi si presenta come rovescio della medaglia, ovvero dipendenza da cibo e relativa obesità, per fare solo un esempio delle conseguenze. Quanto dice di una società il rapporto che essa intrattiene con il cibo?

La questione del cibo, per ciò che concerne la sua abbondanza, va guardato prestando attenzione al luogo in cui siamo. In Africa, per citarne uno, il problema della fame è ancora fortemente presente.

Per quanto riguarda la somiglianza, ebbene sì, senza cibo si muore, quindi l’uomo assomiglia all’animale; dico ciò senza pregiudizio.

Cosa dice di una società? Basta pensare che un tempo per essere considerati belli bisognava essere grassi, perché la maggior parte delle persone aveva fame ed erano in pochi quelli che potevano usufruire di una quantità importante di cibo.

Durante il medioevo, avvengono numerosi cambiamenti a livello climatico. Durante l’alto medioevo cambia anche la dieta diventando simil pastorale. Man mano che la popolazione aumenta, siamo intorno al '200-'300, cambia anche il modo di nutrirsi, espandendosi le piantagioni cerealicole con le conseguenti carestie. Se si pensa, basta una grandinata per distruggere il raccolto portando la fame. Le città medievali avevano una bassa capacità di fare provviste, inoltre restavano spesso scollegate poiché le strade erano impercorribili per molti mesi.

La paura delle epidemie dal medioevo a oggi. Intervista a Chiara Frugoni

Nel capitolo dedicato al diverso, tratta del modo in cui venivano percepiti i musulmani e gli ebrei, appunto i diversi. Vergognarsi di essere razzisti è un sentimento nuovo?

Beh, non per il razzista. Questo non se ne vergogna nemmeno oggi.

Storicamente, il razzismo nasce con le Crociate. Da un lato, abbiamo i musulmani, visti come usurpatori, dall’altro gli ebrei, ovvero i responsabili della morte di Cristo.

Solo per fare un esempio, papa Innocenzo III chiede che gli ebrei indossino un distintivo, una rotella bianca, gialla o rossa. Più tardi, Hitler impone un distintivo simile.

Il tema del diverso conduce alla questione del complotto e, per una società, il complotto è vissuto in modo positivo poiché la compatta contro un determinato nemico. Infatti, si pensava che gli ebrei diffondessero la peste e a nulla serviva che i papi dicessero che si moriva di peste anche dove non c’erano ebrei.

 

Questa sua osservazione mi fa pensare all’attuale pandemia e alla reazione di una parte della popolazione. Vi è quasi un atteggiamento «medievale», inteso in senso storico…

Tanti dettagli, come per esempio il fatto che il virus fosse un’invenzione cinese per affondare il mondo, le fughe verso le seconde case, con la relativa diffusione del contagio, sono comportamenti che lasciano intuire molte delle paure medioevali. Un tema molto sentito anche nel medioevo è l’impossibilità di dare l’ultimo saluto ai propri cari, un divieto vissuto come una rottura dei rapporti.

Allora esisteva anche l’abbandono degli ammalati, una crudeltà che oggi non esiste più, sebbene trovo molto dolorosa l’altra forma di abbandono a cui assistiamo. Se all’inizio poteva essere giustificabile l’incapacità di trovare una soluzione per i ricoverati di Covid, a distanza di mesi non ci sono più scuse a questa forma di recisione degli affetti, di solitudine imposta. Che effetto deve fare una simile circostanza per un anziano già disorientato perché portato in ospedale, privato dagli affetti dei propri cari, dalla loro voce? Indossando i medesimi dispositivi di protezione, non si poteva pensare di creare un modo per far incontrare pazienti e i loro cari?

La paura delle epidemie dal medioevo a oggi. Intervista a Chiara Frugoni

A un certo punto, suggerisce che il modo più opportuno per liberarsi dalle paure medioevali sia l’istruzione…

È così, solo leggendo, capendo, vagliando le notizie senza lasciarsi suggestionare ci si può liberare dalle paure medievali.

Dal punto di vista dell’istruzione, l’Italia, purtroppo, non vanta grandi investimenti.

Per esempio, quando ero ragazza io, la televisione svolgeva una funzione ottima. C’era un programma, Non è mai troppo tardi, dedicato a insegnare agli analfabeti. La tv è un mezzo invasivo e potente, potrebbe fare molto, per esempio, per stimolare la lettura, specie in Italia dove si legge poco.

Di queste carenze abbiamo avuto modo di accorgerci tutti soprattutto in questo momento, con la didattica a distanza, dove si è pensato di insegnare agli studenti usando la tecnologia, sebbene gran parte di questi non possiedano un computer oppure internet. Per non parlare del problema posto dal trasporto degli allievi: perché non usare gli autobus per turisti, specie per potenziare le linee extraurbane?

Tutte queste manchevolezze, però, sono coerenti con un quadro generale in cui si investe poco nell’istruzione, anche dal lato degli insegnanti, molti dei quali finiscono per scegliere l’insegnamento non per vocazione, ma come rimedio.

La scuola, però, è il volano di una società.

 

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Cosa ci insegna, secondo lei, il medioevo, le sue epidemie, specie in relazione a ciò che stiamo vivendo ora?

Ci insegna l’impotenza.

Sebbene non conoscessero i virus, scoperti intorno al 1940, anche nel medioevo avevano compreso che l’aria corrotta, come la definivano, aveva a che fare con la diffusione della peste. Ignoravano si trattasse di un ratto infettato e di una pulce che finiva per trasmettere la malattia dal primo all’uomo. Nel caso della peste polmonare, però, responsabile – e qui avevano ragione a pensare all’aria corrotta – erano quello che oggi definiremo le goccioline.

Condividiamo con il medioevo, oltre al senso di impotenza, quello di angoscia, di disperazione. Ma a differenza di allora, noi abbiamo la fortuna dei vaccini per affrontare queste pandemie, per loro queste ultime erano punizioni divine, castighi. In questo senso, è interessante l’opera di Boccaccio che giustifica, per esempio, le sette fanciulle che lasciano la città, dopo la morte dei genitori, poiché lì c’è molta insicurezza.

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Per la prima foto, copyright: Tonik su Unsplash.

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