“La parte sbagliata del paradiso” di Andrea Malabaila
La parte sbagliata del paradiso di Andrea Malabaila (Fernandel, 2014), editor e fondatore della casa editrice Las Vegas, genera curiose interferenze nel pensiero del lettore, conducendolo a riflessioni e considerazioni solo in apparenza distanti dalla lettura di un romanzo scorrevole e coinvolgente e con l’incomparabile prerogativa di distendere il tono di certa narrativa sempre fin troppo pronta a invischiarsi in trame e intrecci tanto sublimi quanto inverosimili.
Come annuncia l’incipit di tolstoiana memoria («Tutte le storie sono storie di amori infelici»), protagonista è una storia d’amore, quella tra Ivan Costamagna, giovane operaio della Regis Metallia di Torino che «non aveva un amore né una storia da raccontare, e a suo modo poteva dire di essere felice» prima di incontrare Valentina, la bella e ribelle figlia del capo.
Tuttavia la storia di Ivan non ha niente della maestosa tragicità del capolavoro di Tolstoj: è una storia di ordinaria amministrazione sentimentale, una sorta di Cenerentola al contrario, dove il ruolo della povera fanciulla è occupato da un giovane squattrinato «atletico, pieno di vita e ricco di potenzialità» e quello del principe azzurro da una principessa moderna, borghese, viziata e dannata, perennemente inquieta e insoddisfatta, nonostante la vita le abbia dato (quasi) tutto. Scontato l’innamoramento di Ivan, altrettanto la resistenza iniziale di lei (le principesse, si sa, concedono la loro mano unicamente dopo un congruo periodo di riluttanza); plausibile lo sviluppo con il matrimonio dei due protagonisti, ma soltanto dopo che Ivan ha dato corpo alle belle speranze, alle potenzialità e alle sue ambizioni personali progettando e dirigendo la divisione gioielli della Regis Metallia, passando da operaio a imprenditore e soprattutto da Ivan a Ivano, più “inquadrato” rispetto al bolscevico Ivan. Che peraltro bolscevico non lo è, se non per via dell’eco della mentalità e dell’educazione famigliare.
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È il matrimonio, dunque, il lieto fine? Ovviamente no. Il finale non lo sveliamo per rispetto al libro e per lasciare al lettore la soddisfazione di cogliere la morale che più gli aggrada, ma possiamo anticipare che un lieto fine non c’è. Com’è giusto che sia, perché, nonostante la morfologia di questo romanzo si mostri per molti versi in debito con gli studi sulla fiaba di Propp, la verità è che è molto più vicino alla realtà che alla favola. La realtà dell’amore, in primo luogo, che non è sempre quel sentimento delizioso che (quasi) tutti sogniamo ma nemmeno quel fastidioso accidente che talvolta ci si ostina a fuggire: l’amore, molto più banalmente, è qualcosa che capita nella vita di un uomo o di una donna, e come tutto ciò che capita può essere meraviglioso o tormentoso, è fatto di alti e bassi, di ostacoli, equivoci ed errori che ognuno affronta e supera come può. E poi la realtà della crisi, le sue conseguenze, come queste possono influenzare il corso altrimenti placido e segnato di taluni destini. Infine, la realtà più amara di tutte: quella del crescere, maturare, fare i conti con i sogni che non si realizzano e avere il coraggio di cambiare, di cadere e poi rialzarsi, contare i lividi e capire che forse non guariranno ma che c’è sempre il modo, e il tempo, per recuperare e andare avanti. E così anche Ivan «aveva smesso di credere alle favole e di inseguire i traguardi impossibili. Aveva imparato sulla sua pelle che la strada per il paradiso è lastricata di sogni e false illusioni».
Resta tuttavia da comprendere a quale paradiso faccia riferimento l’autore nel titolo. Il paradiso dell’amore? Il paradiso dei sogni? Quello dei felici e facili inganni? O quello delle ambizioni rincorse, acchiappate e poi lasciate crollare? Verosimilmente tutti, perché il paradiso – se esiste – è un luogo immenso, passibile di accogliere le più molteplici versioni che la mente umana è capace di concepire. E allora mi permetto di aggiungere una mia personalissima interpretazione: e se il paradiso di Malabaila fosse quell’altra metà del cielo, quella in cui sono gli uomini a scoprirsi fragili davanti alla volubilità delle donne? O meglio a scoprire, una volta per tutte, che la distinzione attiene al genere sotto il profilo biologico e molto meno rispetto a quello psicologico, che non esiste un sesso forte o un sesso debole. Esistono i sentimenti, e soprattutto le persone e le persone, quelle sì, sembra volerci dire La parte sbagliata del paradiso, possono trovarsi dalla parte sbagliata del paradiso.
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