La parola alla Follia di Erasmo da Rotterdam
Nel 1509, grazie a un raffinato studioso divenuto emblema dell’umanesimo cristiano, nasce il testo in cui è la Follia stessa a prendere la parola e tessere la propria lode; è in quell’anno, infatti, che Erasmo da Rotterdam scrive il Moriae encomium, meglio conosciuto come Elogio della follia.
Il testo è redatto in latino e suddiviso in sessantotto brevi capitoli; pubblicato nel 1511, viene dedicato a Tommaso Moro, come si evince dalla lettera a lui indirizzata che fa da introduzione all’opera. Il titolo gioca proprio sul doppio significato, infatti Moriae encomium può anche essere tradotto come “Elogio di Moro”; Erasmo scrive l’opera nella residenza di Moro a Bucklersbury, durante un periodo di riposo obbligato dopo una malattia ai reni dovuta a lunghi viaggi, e lui stesso si pone come intento quello di divertire i suoi amici realizzando un saggio satirico, non certo destinato alla stampa. Perfino Erasmo si stupisce quando il suo scritto riscuote successo e viene puntualmente ristampato, circolando poi anche in traduzione tedesca e francese. Così un’opera nata come divertissement è divenuta un punto di riferimento per la letteratura occidentale.
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L’opera inizia con la Follia che appare come una dea nelle sembianze di una donna giovane e critica che si auto-elogia nel mezzo di un’assemblea di altre divinità; ella si distanzia dalla gente mortale, afferma di essere figlia di Plutone, dio della ricchezza e della giovinezza, e cresciuta da Ubriachezza e Ignoranza. Dei e mortali ricevono i suoi doni, e lei è all’origine di ogni bene, come ribadisce: «io, io sola sono a tutti prodiga di tutto». Coloro che la accompagnano fedelmente sono Vanità, Dimenticanza, Adulazione, Sonno mortale, Piacere, Demenza, Accidia, Licenziosità e Intemperanza. Erasmo riporta poi esempi, aneddoti, citazioni che testimoniano la grandezza della Follia, e su quanto essa sia utile per poter vivere felici. Che si tratti di matrimonio, amicizia, o di qualsiasi altro rapporto, la Follia garantisce il rafforzamento del vincolo, che si alimenta di «adulazioni, scherzi, di indulgenza, di errori, di dissimulazioni».
Tutti, nessuno ne è escluso, seguono la felicità terrena, e dunque non curano il lato spirituale ma il mero aspetto materiale, che però è destinato a finire; re, papi, vescovi, laici, tutti inseguono lusso, potere, ricchezza, beni effimeri che non riguardano l’interiorità dell’uomo.
Tutta la debolezza umana risiede nella Follia, perciò essa è da considerarsi l’unica guida per la sapienza, mentre erra colui che segue unicamente la ragione:
“«Nel cuore dei sapienti il dolore; nei cuori degli stolti la gioia». Non riteneva, infatti, che bastasse il pieno possesso della sapienza; bisognava conoscere anche me, la follia.”
Nella parte finale dell’opera, Erasmo tira in ballo gli errori della Chiesa cattolica, in particolare corruzione e soprusi perpetuati, ribadendo come Dio sia il solo essere perfetto, e per questo anche portatore di un poco di follia. Nonostante la critica finale, Erasmo resterà sempre fedele alla Chiesa di Roma, un cattolico che propone una “filosofia di Cristo” che guardi al senso di religione interiore, e che sia messo in pratica con la carità.
Dal testo si comprende come tutta la vita sia una commedia, dove ognuno recita la propria parte, senza che sia necessario levare la maschera agli attori.
Erasmo pone diversi livelli di conoscenza, da quella umana guidata solo dalla ragione, e dunque nulla, passando per quella naturale che ci fa conoscere il mondo, fino a quella assoluta che è propria di Dio, accessibile con la follia. Non si parla di una follia negativa, Erasmo ben lo sottolinea, ma di una pazzia che ricalca quella platonica, come può essere quella amorosa:
«Considerate in primo luogo che qualcosa di simile già vagheggiò Platone quando scrisse che il delirio degli amanti è il più felice di tutti. Infatti chi ama ardentemente non vive in se stesso, ma in colui che ama».
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La follia pura porta a vivere felicemente, il saggio è convinto di vivere bene poiché ha conoscenza del mondo, ma non è così: felice è chi sa godere della vita, assecondando le proprie passioni.
La Follia, infine, termina il proprio elogio invitando tutti a scordare ciò che ha detto, piuttosto si dedichino a vivere, applaudire e bere, con parole che restano indimenticabili:
«Vedo che aspettate una conclusione: ma siete proprio scemi, se credete che dopo essermi abbandonata a un simile profluvio di chiacchiere, io mi ricordi ancora ciò che ho detto. C’è un vecchio proverbio che dice: «Odio il convitato che ha buona memoria». Oggi ce n’è un altro: «Odio l’ascoltatore che ricorda». Perciò addio! Applaudite, vivete, bevete, famosissimi iniziati alla Follia.»
Per la prima foto, copyright: Ramin Talebi su Unsplash.
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