La Notte della Taranta, tra economia illegale e racket
Una domanda corre in Puglia da qualche anno. Che ne facciamo della Notte della Taranta, di questo evento unico, sicuramente popolare, ma così snaturante rispetto alla fonte antropologica da cui scaturisce?
Il problema s’è posto ancora di più dopo il terremoto, quando sul web circolava un appello informale a non tenere il concertone in segno di lutto. Per fortuna il concerto si è tenuto, perché la sospensione non avrebbe resuscitato i morti, ma la polemica sull’evento non si placa. La Notte della Taranta è l’avvenimento estivo del Sud, o forse di tutto il Paese. Centinaia di migliaia di persone presenti e di euro pubblici investiti, artisti mondiali, pubblicità a iosa e tanto lavoro. Peccato però che parte di quel lavoro, come del lavoro offerto in Salento d’estate, sia nero, assolutamente nero. E all’indomani del concertone in Puglia restano gli alti tassi di disoccupazione giovanile e le sperequazioni sociali di sempre, quelle di una regione meridionale che ha giocato col fuoco quando si è illusa di esser diventata una specie di piccola California. In sé il tarantismo posticcio dell’evento non ha nulla di male, ma l’indotto economico illegale che sembrerebbe accompagnarlo, indipendentemente dalla volontà degli organizzatori, va necessariamente affrontato come un fenomeno da sopprimere. Siamo troppo abituati, al Sud, ad accontentarci della spettacolarizzazione delle nostre tradizioni. Su questa spettacolarizzazione pochissimi ci guadagnano cifre inimmaginabili, mentre i più restano nella miseria di sempre, nel brodo cocente della sottoccupazione, del Pil che non cresce, dei consumi che ristagnano.
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Tanto è vero che basta attraversare il Salento d’inverno per piombare nell’inoperoso Meridione di un tempo. Il grande flusso turistico verso la penisola salentina non ha portato con sé sviluppo lungo e destagionalizzato, ma un’invasione senza precedenti di cui si nutrono pochi investitori legali (sempre gli stessi) e tanti criminali. La misura si colma quando, come si vocifera da tempo, durante l’eventone il racket estorcerebbe un “obolo” agli ambulanti presenti, imponendo con la sua stessa presenza sudditanza e obbedienza mafiosa.
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Quindi va ripensato tutto il sistema degli eventi legati al tarantismo, magari con una moltiplicazione di eventi più piccoli all’insegna del coinvolgimento placido del pubblico. Del resto, la logica dei grandi eventi estivi, che resiste prepotentemente in Italia, ben si accompagna allo scempio che si sta facendo di Gallipoli, divenuta meta discotecara seconda soltanto a Ibiza. Anche qui lasciando sul campo la deturpazione dell’ambiente, un eccesso di cemento sulla costa e l’inaccessibilità della città ai turisti più comuni.
In definitiva la spesa non vale l’impresa, se gli effetti sull’economia e sull’occupazione regionale sono risibili. Allora cosa ne facciamo della Notte della Taranta? La ripensiamo completamente diversa, su tutto l’anno, e magari le cambiamo anche nome.
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