La 'ndrangheta nella terra dei santi
Si parla di ‘ndrangheta nell’ultimo film di Fernando Muraca, La terra dei santi, in uscita il 26 marzo; se ne parla, però, da una prospettiva particolare, ponendo al centro della narrazione tre figure femminili, Vittoria (interpretata da Valeria Solarino), un magistrato che viene inviato dal Nord nel cuore della Calabria ‘ndranghetista; Caterina (interpretata da Lorenza Indovina), moglie di un boss che gestisce gli affari di famiglia durante la latitanza del marito, e Assunta (per la cui parte è stata scelta la giovanissima Daniela Marra) che, rimasta vedova, decide di vendicarsi del marito.
Nel film, tratto da Il cielo a metà di Monica Zapelli (edito da Baldini & Castoldi), qui nelle vesti anche di sceneggiatrice, si propone, come in una tragedia greca, un gioco serissimo con le profondità dell’animo umano, quello femminile in particolare, grazie a dialoghi talmente precisi da risultare brutali per la capacità di mettere in scena uno scontro frontale tra differenti mentalità e modi di intendere il proprio ruolo di donna nella società.
Di questo abbiamo parlato con il regista, Fernando Muraca, e con la giovane interprete Daniela Marra.
Cosa vuol dire raccontare la 'ndrangheta oggi? E perché è necessario farlo?
Fernando Muraca: La 'ndrangheta è uno dei fenomeni più importanti che si muove sotto la pelle dell'Europa. Non è più, come qualcuno tuttora pensa, un fatto regionalistico, un problema di qualche località amena che si affaccia sul Mediterraneo. Questa organizzazione inquina lo sviluppo economico di territori sempre più ampi dalla punta del nostro stivale a Duisburg in Germania.
Raccontarla significa quindi occuparsi di uno dei temi più importanti con cui le società occidentali si devono confrontare. In Italia anche se c'è ancora tanto cammino da fare, abbiamo sviluppato una legislazione che ci consente di arginare e combattere i fenomeni mafiosi, nel resto dell'Europa e del mondo non è così e quindi è molto più difficile contrastare i traffici che la 'ndrangheta mette in atto. Parlare di cosa essa è nel profondo è necessario per dare a tutti strumenti di decodifica attuali di questi fenomeni.
Il film è incentrato su personaggi femminili, tutti molto forti. Assunta, giovane vedova di un soldato della 'ndrangheta; Caterina, moglie di un boss latitante e che gestisce gli affari di famiglia, e Vittoria, il magistrato che indaga sulla 'ndrangheta. Per quali ragioni ha deciso di porre al centro della storia tre donne?
Fernando Muraca: Io amo raccontare le donne. Trovo che il loro punto di vista in questo momento storico sia più interessante e abbia, talvolta, la capacita della profezia. Esse sono anche sottoposte alla violenza fisica e culturale di un mondo che è governato dai maschi che, il più delle volte, si sono fatti risucchiare il cuore dal desiderio di potere e dal denaro, dalla ricchezza che permette di mantenere una posizione sociale riconoscibile. Le donne per questi motivi sono le naturali protagoniste dei miei lavori perché esprimono con le loro sofferenze e le loro visioni le piaghe e le speranze dei cuori di tutti.
Qual è oggi il ruolo delle donne nella 'ndrangheta?
Fernando Muraca: A questa domanda risponde nel film la moglie del boss durante un interrogatorio con il magistrato e dice: «Moglie. [...] Le pare poco moglie? Moglie è tanto. [...] Da queste parti moglie vuol dire lasagne, parlare senza mettere in imbarazzo il marito, crescere i figli...».
E si potrebbe continuare dicendo che esse accompagnano i bambini a vedere i padri latitanti nei covi dove questi si nascondono, girano le carceri di mezza Italia per visitare i figli e i mariti incarcerati e portare i loro messaggi all'esterno. Sposano senza amore uomini che non hanno scelto per consentire alle famiglie mafiose di stringere legami che consentono loro di rafforzarsi. E si potrebbe continuare a descrivere il ruolo subordinato ai maschi che esse hanno fino a disegnare una condizione di vera e propria schiavitù se la giudichiamo con i parametri con cui siamo abituati a pensare la condizione della donna nel nostro Paese.
A un certo punto del film, si assiste a un confronto fra Valeria e Assunta, che si rimproverano a vicenda:
«Che femmina sei che porti via i figli alle mamme»
«Tu che madre sei che li mandi a morire ammazzati»
Credo che questo rimandi a una cifra stilistica ben precisa del film, impressa da lei e da Monica Zapelli, in qualità di sceneggiatori. Potrebbe illustrarci qual è la chiave stilistica utilizzata per raccontare la storia?
Fernando Muraca: Abbiamo cercato di raccontare prima il magistrato interpretato da Valeria Solarino e Assunta, la giovane madre mafiosa, nel loro contesto di appartenenza dove entrambe devono rispondere a modelli di comportamento molto diversi fra loro. Lentamente però il film porta i personaggi a uscire dallo schema che dovrebbero rispettare per stare al sicuro nel loro ruolo. Entrambe dimostrano di essere capaci di questo e quindi il rapporto fra loro si trasforma e diventa imprevedibile al punto che iniziano a parlarsi “di pancia”. C'è una scena che non posso rivelare per non anticiparla al pubblico in cui tutte le barriere crollano e c'è un momento in cui si ritrovano come due donne, fuori dai loro ruoli, una di fronte all'altra, fino alla commozione.
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Lei interpreta Assunta, la giovane vedova di un soldato della 'ndrangheta, mossa da uno spirito di vendetta molto forte. Qual è il confine, in Assunta, tra vendetta e giustizia? E, secondo lei, in casi come questi è possibile dirimerle con facilità?
Daniela Marra: Questa è una domanda che il film stesso pone, uno spunto importante di riflessione, se ci poniamo dal punto di vista di una donna come Assunta. Infatti, quello della ‘ndrangheta è un sistema molto complesso, consolidatosi sui legami familiari e su pseudovalori fortemente radicati. La ‘ndrangheta ha le sue regole e Assunta è cresciuta tra queste regole e forse non ha mai avuto occasione di conoscere altro, di vedere un'alternativa a quel mondo, nonostante lo percepisca come profondamente ingiusto. Quindi, all’inizio, la ribellione non rientra nel suo ordine di idee, Assunta forse non conosce neanche quali possano essere gli strumenti per reagire alle leggi della ‘ndrangheta, ma riuscirà veramente a muovere i primi passi per reagire quando sarà colpita dalle leggi della magistratura. Forse per una donna così incastrata, non si può parlare di vendetta o di giustizia, ma di una sorta di "giustizia personale" che possa davvero darle quello di cui ha bisogno: dignità di madre e di donna.
Ci permetta una domanda legata alla sua giovane età: al di là di tutti i cliché, cosa vuol dire per una giovane donna vivere in un contesto che deve confrontarsi spesso con la 'ndrangheta e i suoi pseudo-valori?
Daniela Marra: Non lo so. Per quanto possa leggere e documentarmi attraverso la cronaca o libri d’inchiesta, non posso davvero sapere cosa significhi. Ho avuto occasione di incontrare donne che vivono in questi contesti, donne di qualche anno più giovani di me e magari già madri di tre figli e credo che qualcosa sul loro vissuto la si possa immaginare, qualcosa la si possa raccontare attraverso film e quant’altro ma chissà cosa non conosciamo e non possiamo conoscere.
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