La morte, l’amore, la memoria, Andreotti. “Il regno dei fossili” di Davide Orecchio
Questo libro parla di Giulio Andreotti, anche se non lo si capisce subito. Questo libro parla di molto altro, anche se non si capisce che cosa. Questo libro ha una trama lineare e semplice, ma per capirlo fino in fondo non basterebbero cinque riletture.
Questo libro è Il regno dei fossili, secondo romanzo (dopo Stato di grazia) di Davide Orecchio, uscito questo mese presso il Saggiatore.
Giulio è orfano di entrambi i genitori ed è ossessionato dalla morte perché la conosce bene. Nei primi anni di vita cerca di scoprire la vita e lo fa in Dio, di cui «il suo zaino è sempre pieno».
Giulio crescerà nelle pagine sino a diventare Andreotti, l’uomo più importante d’Italia, il più potente, tanto da trasformarsi in ipostasi del potere. Dietro al potente uomo di Stato, che conserva segreti di cui nessuno può immaginare l’imponenza, è però ben presente il piccolo Giulio che con ansia e paura si interroga, confidando al suo diario gli atti, i pensieri, i segreti, (in maniera via via più esplicita) con un pensiero sempre rivolto verso Dio, faro di vita che dà senso anche alla morte.
Gli eventi della prima repubblica (gli accordi con gli americani per il piano Marshall, il compromesso storico e l’assassinio di Moro, fra i tanti) vengono così raccontati attraverso il filtro del diario di Andreotti-uomo, magnifica invenzione dell’autore. Nel romanzo di Orecchio vi è spazio però anche per un elemento romanzesco, che si innesta perfettamente nella rievocazione storica, e veicola il messaggio finale del testo: e se fra i segreti di Andreotti ci fosse stato un misterioso programma di criogenia sviluppato dagli americani che ha lo scopo di rendere immortali chi vi partecipa?
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Albina è una bella ragazza. Quando era piccola, giocando sulla strada della villa del nonno in provincia di Salerno, è investita da una macchina e finisce in ospedale, dove le viene tolta la milza, maciullata dall’impatto con l’automobile. Incontra così la morte, che conosce attraverso lo sguardo terrorizzato del nonno e il dolore nel basso ventre, e si chiude in se stessa, sia emotivamente che fisicamente, ingobbendosi.
«Non stare così gobba, che sembri Andreotti.» le dice allora il nonno in modo faceto, inconsapevole di avere aperto il vaso di Pandora. Da quel momento, dopo aver chiesto al nonno chi è questo Andreotti a cui viene paragonata, Albina sarà ossessionata dalla figura del primo ministro, che ritornerà continuamente nella sua vita. Sarà su di lui che Simone, fidanzato di Albina all’università, scriverà la tesi, ad esempio. Anche lui orfano di padre e madre (due comunisti italiani uccisi nel secondo dopoguerra) cerca nel passato i fossili per ridare vita a quanto non c’è più. Per questo ha deciso di laurearsi in Storia, come Albina d’altronde, o come l’amante di lei che di Storia è professore universitario.
Tema centrale del testo è quello della memoria e della storia, sviluppato nelle sue più varie sfaccettature. Per Simone è l’ultima flebile speranza di tenere in vita il ricordo dei suoi genitori, per Giulio il passato, come quello della morte, è il tempo di Dio e perciò si contrappone al progetto di immortalità degli americani – la torre di ruggine – dove poi tutti (Giulio, Aldo Moro, Albina, Simone, l’amante e tanti altri) finiranno per passare l’eternità togliendo valore alla storia e alla memoria, in un mondo di sempiterni fossili: vuoti involucri di una vita passata.
«(Lei – che pure è la storia e porta i segni del tempo – studiò gli atti che sono la storia, irremeabili, occultati, trascritti, archiviati con molte cautele, cinici, costruiti per non essere compresi dai posteri che ne sono le vittime.)»
L’imponente architettura narrativa progettata da Orecchio è sostenuta da un elegante stile, fatto di ellissi, di frasi brevi e incisive che disegnano un’immagine per poi cancellarla nella proposizione successiva, secondo uno stile allucinato cui lo scrittore ci ha abituato nei precedenti scritti. Ad esempio:
«La certezza dubita. Il dubbio assevera. Il futuro si volta. Il presente espettora. Sul passato crescono ortiche. Il ragazzo desidera il meglio e frattanto s’inerpica. Sulla piattaforma lassù sbuffano i treni, gli altoparlanti gracchiano annunci con l’accento imperativo prussiano. L’orfano sale. Immagina che si possa mutare. Congettura che anche l’ambiente finora troppo severo con la sua biografia sappia adeguarsi alla volontà fanciullesca, nell’orfano, di trasformare. Per una volta sarà l’individuo a modificare il contesto? Felice…felice…felice… è così impossibile… diventare felice?; è così ingiusto, ambizioso, senza criterio?»
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In conclusione, Il regno dei fossili è un libro non semplice, ma estremamente divertente e suggestivo da leggere. Difficilmente inquadrabile in uno schema preconcetto (non è romanzo storico, non è fantascienza, neppure romanzo d’amore o thriller, pur condividendo elementi di tutti questi), come i grandi testi il suo valore sta nell’implicito, nel non detto, nei tre punti di sospensione sul diario di Andreotti o nella battuta d’amore mancata fra Albina e Simone.
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