La Matematica come un romanzo?
È possibile raccontare la matematica come fosse un romanzo? Me lo sto chiedendo da quando mi sono imbattuto nella nuova pubblicazione del «Corriere della Sera», una collana di saggi dal titolo molto assertivo, La Matematica come un romanzo, e che promette di svelare, attraverso un viaggio articolato in 24 uscite a partire da oggi, i segreti di una scienza, le cui principali scoperte vengono raccontate ricorrendo al fascino della letteratura.
«L'essenza della matematica è la sua libertà», amava dire Georg Cantor, intendendo con questo sostenere che la matematica è la sola scienza che possa definirsi libera perché tiene «conto solo e unicamente della realtà immanente dei propri concetti e perciò non è in alcun modo tenuta a controllarne anche la realtà transiente». Detto in parole povere, una libertà che deriva non dalla dicotomia tra la realtà immanente (interna alla matematica stessa) e quella transiente (che le deriva da un riconoscimento esterno), ma dal fatto di poter fare dell’immanenza il fondamento della propria realtà. Una libertà che, quindi, sembra aprire la strada a un principio di realtà che presume se stesso autodefinendosi come reale pare essere alla base della possibilità di raccontare la matematica come un romanzo. Cioè la possibilità di costruire delle narrazioni proprio a partire dalle vite singolari di quanti convivono giorno dopo giorno con una scienza libera perché indipendente dalla ricerca di un fondamento realistico che sia esterno a se stessa.
Non è forse questo che ha ispirato la narrazione della vita di John Forbes Nash Jr., raccontata da Sylvia Nasar ne Il genio dei numeri (uno dei saggi inclusi nella raccolta La Matematica come un romanzo) e portata sul grande schermo da Ron Howard con A Beautiful Mind, film che valse l’Oscar, tra gli altri, anche a Russell Crowe, come migliore attore protagonista? Il racconto di una verità creduta reale perché ritenuta tale nella mente schizofrenica di John Nash. Ovviamente, non s’intende sostenere che tutti i grandi matematici siano, naturaliter, portati alla follia o alla schizofrenia, come diretta conseguenza dei loro studi. È innegabile, però, che proprio quest’amore verso la matematica abbia da sempre alimentato racconti singolari sulle vite dei più grandi matematici.
Tale è lo spirito che anima le monografie di cui è costellato il viaggio nella matematica del «Corriere della Sera», attraverso libri che sanno rendere avvincenti vite e scoperte apparentemente fredde come solo la matematica, almeno in superficie, può esserlo. È così che la celebre frase di Fermat («Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema, che non può essere contenuta nel margine stretto della pagina») diventa l’occasione per un thriller matematico, come L’ultimo teorema di Fermat di Simon Singh, che costituisce la prima uscita della collana. Proprio una lettera indirizzata a Fermat da Blaise Pascal è al centro di uno degli altri saggi di prossima uscita, La lettera di Pascal di Keith Devlin, da cui emerge con chiarezza come grazie a domande apparentemente futili la riflessione matematica sia giunta a scoperte di rilevanza fondamentale. Pascal parte dal problema del gioco interrotto, con un quesito apparentemente banale (se una partita a dadi viene interrotta prima che uno dei due giocatori vinca, come va suddivisa la posta?), per giungere, nella riflessione con Fermat, a gettare le basi per una moderna teoria della probabilità.
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Allo stesso modo la biografia di Wolfgang Pauli (L’equazione dell’anima di Arthur Miller, la seconda uscita di La Matematica come un romanzo) ci restituisce l’immagine di un brillante teorico della fisica quantistica che di notte amava perdersi, spinto dalla depressione, nei quartieri a luci rosse e nei fumi dell’alcool, fino all’incontro con Carl Jung, che di Pauli analizzò i sogni, dando avvio a una collaborazione da cui potesse emergere un linguaggio comune per la fisica e la psicologia.
E il disordine interiore potrebbe essere alla base dell’amore per la simmetria che anima la matematica da sempre, come ci mostra Marcus du Sautoy, nel suo Il disordine perfetto, che prende spunto da un episodio assai singolare occorso a Mozart, il quale, dopo aver assistito al Miserere di Allegri nella Cappella Sistina, seppe riscriverne di getto lo spartito, grazie al suo aver saputo cogliere la struttura logica interna della composizione. L’episodio è un pretesto per aprire una disamina sul concetto di simmetria e sulla capacità della matematica di coglierla anche in quello che sembra il disordine meno comprensibile.
Che sia proprio questa capacità della matematica e dei matematici ad alimentare il loro stesso fascino? Che sia proprio questo a sostenere le narrazioni romanzate delle più importanti scoperte scientifiche e delle biografie dei matematici più noti? Forse La Matematica come un romanzo può essere l’occasione giusta per iniziare a rispondere ad alcuni di questi quesiti.
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