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La malattia come forma di discriminazione. Intervista ad Alessandro Marchi

La malattia come forma di discriminazione. Intervista ad Alessandro MarchiLa malattia mentale è la protagonista di Tu non ci credere mai, romanzo di Alessandro Marchi edito da Libromania. La storia è ambientata negli anni Trenta del secolo scorso e per protagonista ha Aldo Marchi. L’uomo cresce in un ambiente naturale, al Querceto, dove oltre a lavorare la terra lui ama compiere lunghe passeggiate immerso nel verde della natura. Poi, la pace sull’Appennino tosco-emiliano è messa in crisi prima dalla chiamata di Aldo nella Guerra in Africa, poi dalla morte e dalla distruzione scatenate della seconda guerra mondiale. A complicare il tutto l’epilessia, il peggiore nemico di Aldo che metterà a dura prova la sopravvivenza dell’uomo e della sua intera famiglia.

 

Cosa l’ha spinta a raccontare la vita di suo nonno Aldo Marchi e come è riuscito a trovare il giusto equilibrio tra le parti reali e quelle romanzate?

Volevo ridare dignità alla storia di un uomo che ha subìto la discriminazione dell’ignoranza, della paura della diversità, del sospetto verso quanto non si conosce.

È un male che ci portiamo dietro, fortissimo, anche oggi, per cui penso che la storia che racconto sia perfettamente trasportabile anche al 2018. Non è necessario aver vissuto le tragedie che ha vissuto Aldo per aver provato sulla propria pelle quanti danni possa fare il pregiudizio.

La molla mi è scattata quando mi sono reso conto che mio padre e mia zia (due dei tre figli di Aldo) non avessero la stessa versione dei fatti del perché loro padre fosse tornato epilettico dalla guerra d’Africa. “Com’è possibile?” – mi sono detto – “Voglio scoprirlo!”. Non sono riuscito a scoprirlo ma, con l’avanzare della scrittura, mi sono appunto reso conto che non avesse molta importanza e che la storia era molto più grande e più universale rispetto a quella della mia famiglia. D’altronde, sono le piccole storie di ognuno di noi che fanno la grande Storia.

 

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Aldo è epilettico, per tale ragione non fa la guerra, torna a casa, però quanto la malattia gli complicherà la vita in un’Italia alle soglie della seconda guerra mondiale?

Aldo rientra presto dalla guerra d’Africa perché la sua epilessia esplode nel deserto. Ma ha fatto abbastanza guerra per instillarmi il dubbio che potesse essere solo sindrome post-traumatica da stress. Solo che allora non si sapeva nemmeno cosa fosse, e anche l’epilessia era vista come un male grave. Ma prendiamo per buona la diagnosi medica, ovviamente.

Una volta rientrato a casa quel documento che lo aveva salvato dall’Africa lo condannerà invece a una vita difficile, di isolamento. Circondato dal pregiudizio, etichettato come matto, ne soffrirà, ma sempre mantenendo il suo pensiero indipendente. Sarà con l’Eccidio di Monte Sole e la morte della moglie Carolina che la diagnosi di epilessia si rivelerà la sua condanna: in quei giorni convulsi infatti la Croce Rossa riuscì a rintracciare Aldo e i tre figli in un rifugio e trasportò i bambini di là dalla Linea Gotica, in un brefotrofio ad Arezzo, ritenendolo non in grado di accudirli. Da quel momento non farà altro che cercare di riconquistare il diritto a vivere con i suoi bambini.

La malattia come forma di discriminazione. Intervista ad Alessandro Marchi

Salvatosi dalla guerra, Aldo si sposa ha tre figli, poi tutto degenera all’improvviso. Quanto è grande il senso di impotenza del protagonista davanti al destino?

Aldo non è del tutto impotente di fronte al destino. Anche in manicomio riuscirà sempre a mantenere quel filo di lucidità per cercare una via d’uscita, per ritornare ad abbracciare i suoi figli e ricostruirsi una vita normale.

 

Dall’epilessia di Aldo alla zoppia di Carolina, in quell’Italia quanto contava il pregiudizio verso i malati e le malattie?

Oggi abbiamo sostituito a quei pregiudizi nei confronti dei malati altri pregiudizi, ma non è cambiato molto a dire il vero. Sicuramente nell’Italia degli anni Trenta e Quaranta una persona non autosufficiente poteva diventare un grosso peso in un nucleo familiare modesto, dove ognuno doveva portare il proprio contributo per andare avanti. Ma è soprattutto la paura per l’ignoto, cioè la “malattia mentale” di Aldo che lo isola e ne fa il bersaglio delle prese in giro di alcuni compaesani. Carolina condivide con lui la sensazione di essere guardata come una persona diversa, e nel loro amore trovano un conforto e una comprensione unici.

 

Nel testo sono riportati referti medici reali, quelli di suo nonno. Che idea si è fatto delle modalità con cui venivano trattati i malati ricoverati in strutture sanitarie per malati di mente?

Oltre ai referti medici relativi al ricovero di mio nonno ho anche cercato di documentarmi su vari testi. E purtroppo le strutture sanitarie erano terribili. La costrizione, cioè la camicia di forza, e l’elettroshock erano pratiche usate con una leggerezza incredibile. I farmaci erano somministrati senza alcuna attenzione per le individualità del malato: l’unico obiettivo era avere meno disturbi possibile dal “matto”. Purtroppo non è raro che ancora oggi – sono recentemente usciti dati relativi all’Emilia-Romagna – si usino certi metodi. La Legge Basaglia dovrebbe essere applicata molto meglio: se lo fosse, costituirebbe un passo in avanti per dare dignità alla persona con difficoltà psichiche. Invece ancora oggi abbiamo un Ministro dell’Interno che invoca i manicomi come soluzione. Che disastro.

La malattia come forma di discriminazione. Intervista ad Alessandro Marchi

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All’inizio del romanzo tutti definiscono Aldo matto, ma lo accettano, dopo i ricoveri in ospedale sembra che le persone lo guardino con maggiore sospetto e, in certi casi timore, perché?

All’inizio Aldo era più che altro un tipo strano. Un taciturno, un solitario cui piaceva sfogarsi facendo lunghe camminate senza meta in un mondo nel quale il tempo libero – in pratica – non esisteva. Era quindi un “matto buono”, perché era comunque inserito nel suo contesto familiare e lavorativo e, tutto sommato, comprensibile.

Ma quando è lo Stato a dire che viene riformato per un disagio mentale cambia tutto. Cos’è questo disagio? È contagioso? Sarà pericoloso? Come ho detto prima è l’etichetta di “matto vero”, certificato, che lo condanna all’isolamento perché le persone attorno a lui non hanno voglia di capire, ma si limitano ad escluderlo.

 

Aldo ha una passione che lo accompagnerà per tutta la vita: fare lunghe camminate. Cosa è per lui il camminare?

È una forma di evasione e di indipendenza. L’ho immaginato come un uomo dalla mente brillante e libera. Seppure non colto, Aldo è un uomo che vuole continuare a pensare con la propria testa. Vuole essere libero, e vuole scappare da tutte quelle recinzioni - fisiche o virtuali - che la società cerca di imporgli.


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Per la prima foto, copyright: JD Mason.

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