La magia fa parte della nostra vita. Intervista a Loredana Lipperini
Magia nera esce per Bompiani ed è un vorticoso e appassionante viaggio in mezzo a dodici racconti, con altrettante protagoniste così intense da rendere Loredana Lipperini una stravagante sarta che cuce una specie di seconda pelle addosso al lettore.
Cecilia, la sua storia, la sento ancora muovere dentro la mia testa anche a distanza di tempo. Perché il mondo raccontato da Lipperini è quella estensione di mondo che conficca le sue radici nella realtà, strappa il velo di Maya, delle apparenze, e poi lascia che i due mondi, questo e quello, si riversino lentamente l’uno nell’altro.
È una piccola ferita, ciascun racconto di Magia nera, una ferita che rivela la vita, un’altra vita, in mezzo alla rigidità degli schemi, del reale, delle categorie. E l’autrice è così abile in questa specie di natural bleeding narrativo, che ti stupisce sempre, anche quando hai la sensazione di aver intuito qualcosa del finale.
Ci siamo sentite per telefono, e dopo un breve scambio di opinioni sulla complessità di smettere di fumare, Loredana Lipperini mi ha fortificato il desiderio di letteratura fantastica raccontando i retroscena che l’hanno portata alla stesura di Magia nera.
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La prima domanda che vorrei porle, riguarda la nascita della raccolta. Ovvero, come ha preso vita?
Avevo diversi racconti che mi hanno accompagnata nel tempo e, rileggendoli, ho percepito un filo conduttore che li teneva uniti. Nel farlo, nel metterli insieme, mi sono resa conto che avevo visto giusto. Mancavano altri racconti, come per esempio 21 giorni, che ho scritto per completezza.
Ha scelto una forma narrativa, il racconto, che trova una difficile collocazione nel panorama editoriale e nel pubblico odierni. C’è chi sostiene un rapporto di superiorità del romanzo sul racconto, ma anche il contrario. Quali sono le differenze, secondo lei? Cosa può dare l’uno e cosa l’altro?
Sono una grande lettrice di racconti, soprattutto fantastici e scritti da donne, ma so anche quanto sia difficoltoso far accettare agli editori la pubblicazione dei racconti, specie in Italia. Del racconto, nella sua essenza, altri hanno espresso pensieri più ricercati del mio ma, in ultima analisi, la differenza tra il racconto e il romanzo consiste e dipende dalla storia. Spesso i miei racconti si rivelano il terreno fertile dei romanzi. Certe riflessioni, che poi riprendo e approfondisco nei romanzi, nascono in mezzo ai racconti. L’esempio è il romanzo al quale lavoro adesso, che ha le radici neL’arrivo di Saturno.
Poi, quando penso ai racconti, penso a Buzzati e a Sessanta racconti, con cui ha vinto anche lo Strega in un periodo in cui il fantastico non attecchiva più di tanto. Di certo non credo in una superiorità della forma. Racconto o romanzo: è solo una questione di cosa hai da dire.
In Magia nera tratta temi complessi del mondo reale interconnessi con quello spirituale, indaga i limiti dell’uno e dell’altro, le trasparenze, l’impermeabilità. Dove l’ha portata questo viaggio narrativo?
Sono convinta che la magia, o i diversi livelli di realtà, se vogliamo, faccia parte della nostra vita. E questi due opposti trasudano e collimano l’uno nell’altro. In questo senso, la letteratura fantastica ha il compito di testimoniare che non tutto si consuma nella vita tangibile. Il fantastico è il caos nell’apparente ordine della vita. Un caos positivo, perché le realtà che si intravvedono sono benefiche. È grazie al fantastico che andiamo oltre le barriere e i confini del reale.
Todorov classificava il genere fantastico in due grandi tipi: il meraviglioso e il perturbante. Di certo, il meraviglioso piace molto. Pensiamo a Game of Thrones. E a Buzzati, per dare un esempio anche di fantastico perturbante. A unirli, però, è un sottostrato riconducibile alle problematiche essenziali ed esistenziali dell’essere umano.
Un po’ come per Cecilia, la protagonista del racconto che apre la raccolta?
Esatto. Cecilia ci riesce? È solo una sua visione? Ecco, il perturbante è il tipo di fantastico che mi viene meglio. E le protagoniste di Magia nera sono donne come noi, ma alle quali accadono cose che a noi non accadono.
Sono numerosi i punti di riflessione nella raccolta, uno tra questi è riferito al tempo. Infatti, si chiede: di cosa è fatto il tempo? Le rivolgo la medesima domanda.
È fatto di dettagli, di cose piccole perché è questo ciò che rimane nella nostra memoria. Tratteniamo la nascita di un figlio o un altro momento culminante. E questi grandi momenti possono essere rappresentati da un ciondolo, un amuleto, un dado. Grandi momenti fatti di altrettanto grandi rimpianti, dolori e gioie. Non solo il diavolo sta nei dettagli, ma anche il tempo, la vita.
E la scrittura è acqua di vita, ed è gratis.
Protagonista indiscussa della raccolta è la donna. La madre, la compagna, l’amica… Quale «corpo» è stato più difficile raccontare, o «essere» per raccontarlo?
Rosa vigo perché adotta un punto di vista maschile. Altri invece hanno richiesto una documentazione storica accurata perché raccontano di personaggi esistiti veramente. Altri personaggi, come Rosabelle, sono nati nell’arco di una giornata scorrendo senza alcuna difficoltà.
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Ha abitudini particolari per scrivere?
Mi piacerebbe avere un tempo lento per la scrittura, invece ne ho uno rubato, fatto di taccuini con appunti che poi diventano un’idea da sviluppare. Scrivo di getto, in modo selvaggio. Poi riscrivo fino a cinque, sei volte. Nel caso dei romanzi, impiego anni. La riscrittura avviene lentamente, soppeso ogni virgola e ogni singola frase.
Se non dovessi rubare il tempo ad altri impegni per scrivere, allora il mio posto ideale è nelle Marche, dove ho una casetta che considero perfetta per la scrittura. Quando ho il privilegio di andarci, il più delle volte è d’estate e, mentre guardo le montagne, cominciano a prendere forma le idee e i personaggi che poi diventano racconti e romanzi.
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Per la prima foto, copyright: Almos Bechtold su Unsplash.
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