La lunga estate dei braccianti
Quanto è lunga l’estate dei braccianti? Quando addentiamo una fetta d’anguria o infilziamo un pomodoro con la forchetta, fermiamoci un attimo a riflettere: chi ha lavorato questi frutti? Chi li ha trattati e raccolti? E a quali condizioni? Ogni estate si ripete il rito feroce dello sfruttamento dei braccianti – italiani e stranieri – nelle nostre campagne: esseri umani, centinaia di migliaia, al servizio di produttori, trasformatori, esportatori, importatori. Pare di essere tornati indietro, a una fase pre-moderna, quando era il prezzo del prodotto a fissare il costo del lavoro e dei diritti. Come se decenni di battaglie, di terre occupate, di condizioni strappate coi denti ai “padroni” fossero stati cancellati di netto dalle regole globali del mercato ortofrutticolo: quelle che determinano le condizioni disumane del lavoro bracciantile.
Le multinazionali del cibo, le stesse che sostengono e finanziano Expo2015, non hanno speso una parola contro questo ritorno alla schiavitù e alla mediazione illegale sul mercato del lavoro, il caporalato. Dal 2011 ad oggi si sono susseguite denunce e proteste contro i nuovi caporali, boss del mercato tanto al sud quanto al nord. I braccianti sono sottoposti a regime di assoluto asservimento in Puglia come in Piemonte, in Campania, come in Lombardia. Capitanata, Salento, Cilento, Franciacorta… solo per citare alcuni dei territori dove il caporalato ha attecchito con più forza, radicandosi nel sistema produttivo locale, tessendo relazioni strettissime con le locali organizzazioni di produttori, con i grossisti, con le industrie del settore. La filiera dello sfruttamento produce guadagni incredibilmente alti, tutti a danno dei lavoratori. Parliamo di decine di milioni di euro sottratti al fisco e alle tasche dei nuovi schiavi.
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Ma questo sistema ci porta a fare un’altra riflessione: non è che, a furia di dire che il lavoro non è più il cuore del mondo produttivo globale, a esso si sta gradualmente sostituendo una nuova forma di volontariato coatto, di assoggettamento per coercizione?
Se così fosse, tra pochi decenni tutto il globo potrebbe essere pieno di non-lavoratori perché schiavi (come i piccolissimi raccoglitori di gamberetti del Bangladesh, come le schiave del tessile in Cina, come i braccianti rumeni o senegalesi a Nardò), al servizio di anonime imprese senza patria, più potenti degli Stati e certamente più efficaci sul piano del controllo sociale e del governo della povertà e della miseria.
Lo scenario non è inverosimile, se pensiamo che al cuore della nuova strategia portata avanti dalle multinazionali dell’agroalimentare (si pensi alla Monsanto) non c’è più la ricerca del profitto assoluto, ma l’imposizione di un assolutismo produttivo che rasenta la dittatura. Bene, questo è quel che può aspettarci e su questo vi invito a riflettere quando, nella lunga estate dei braccianti, morderete una fresca anguria.
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