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La lotta per accettare se stessi. “Mànasteinn, il ragazzo che non è mai stato” di Sigurjòn Birgir Sigurosson

La lotta per accettare se stessi. “Mànasteinn, il ragazzo che non è mai stato” di Sigurjòn Birgir SigurossonPuntata n. 81 della rubrica La bellezza nascosta

 

«Quella notte il ragazzo aveva sognato per la prima volta, a quanto ricordasse. Le uscite al cinema Variaghi si conclusero lì e lui smise di partecipare. Si accordò con l’anziana donna affinché invece di ricominciare a fumare potesse andare al cinema. E adesso il ragazzo vive nei film. Quando non li incamera con gli occhi, li rivede mentalmente dentro di sé. Dormendo, sogna i film che ha visto, in varianti che includono nella trama eventi della propria esistenza. Ma ancora non ha sognato Sòla Guob-.»

 

Accettare noi stessi, spesso, è un viaggio lungo e tortuoso. S’inizia da lontano, da quando, bambini, muoviamo i primi passi, articoliamo le prime parole e ci confrontiamo per la prima volta con una figura che dicono ci somigli; una figura che vediamo riflessa in una lastra che tutti chiamano specchio. Con il tempo riusciamo a scovare molti modi per sabotare quella figura, per ostacolarci, per denigrare e umiliare noi stessi.

 

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L’accettazione di sé è forse il tragitto più tortuoso, il più difficile da percorrere, e su questa strada lastricata di pericoli esistono mostri che hanno nomi conosciuti.

La lotta per accettare se stessi. “Mànasteinn, il ragazzo che non è mai stato” di Sigurjòn Birgir Sigurosson

Siamo capaci di inventare i modi più disparati per sfuggire da quell’immagine dentro lo specchio che ci accompagna sin da bambini e che è cresciuta con noi; quel riflesso che in nessun modo siamo riusciti a staccarci di dosso.

Ci costruiamo, poi, vie di fuga. Ce le costruiamo montando impalcature, o semplicemente, scavando cunicoli a mani nude. L’arte, la passione per una forma d’arte, è quanto di più vicino alla salvezza possa esserci per chi, ancora, non riesce a voler bene a sé stesso.

Sigurjòn Birgir Sigurosson, in arte Sjòn, è nato a Reykjavìk (Islanda) nel 1962; il romanzo Mànasteinn, il ragazzo che non è mai stato è stato pubblicato in Italia da Federico Tozzi Editore.

La lotta per accettare se stessi. “Mànasteinn, il ragazzo che non è mai stato” di Sigurjòn Birgir Sigurosson

Siamo negli ultimi mesi del 1918 a Reykjavìk, Màni Steinn Karlsson è un ragazzo di sedici anni che vive in povertà. Dorme in una soffitta con la sorella della bisnonna e si guadagna da vivere prostituendosi. Il ragazzo lotta continuamente con un passato che vuole mantenere nascosto e affronta le sue giornate grazie alla sua smisurata passione per i film. Poi le sale vengono chiuse a causa di un’epidemia, e Màni si trova a lavorare fianco a fianco con una ragazza, Sòla Guob-,che gira in moto e somiglia incredibilmente a Musidora, la sua attrice preferita.

Sjòn, sin dalle prime pagine, mostra un’abilità di scrittura notevole; il suo stile e la sua tecnica rendono preziosa la narrazione e regalano al lettore, oltre che una storia coinvolgente e a tratti allucinata, anche il piacere della pura e semplice letteratura.

 

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Mànasteinn, il ragazzo che non è mais statoparte con una trama che appare lineare e saldamente strutturata, ma con lo svolgersi della storia, gli eventi iniziano a sembrare, man mano, sempre più il frutto di un sogno (un incubo) in cui il protagonista, Màni, cerca di muoversi e di sopravvivere.

«Mentre si dirigono al pronto soccorso il ragazzo vede che la sala riunioni e tutte le aule del primo piano sono state convertite in corsie d’ospedale. In ogni letto giace un paziente gravemente ammalato. Dal corridoio si sentono i gemiti di dolore, lamenti, pianti di adulti e di bambini. Sui tavoli posti qua e là ci sono fornelli a gas per scaldare l’acqua e da grandi pentole si alzano nuvole di vapore.»

 

A tratti, questo libro, mi ha ricordato i film apocalittici degli anni Ottanta, per l’aria che si respira, per le immagini che arrivano dalle parole, per la crudezza e lo splendore della penna di Sjòn.

Sigurjòn Birgir Sigurosson

Un romanzo che è un libro sulla speranza e sulla difficile convivenza con noi stessi, forse la più grande lotta umana. L’intera storia, così raccontata, somiglia alla fase REM del sonno, quel momento in cui il dormire si mischia a sogno.

«Màni Steinn tiene l’orecchio incollato alla porta della stanza in cui è rinchiuso e cerca di distinguere la conversazione che si svolge di là. Nessuno concorda con la proposta di questo individuo sovreccitato che urla di volerlo sgozzare. Né il ragazzo è impaurito da quei rosiconi. Si è reso conto che gli uomini che discutono del suo destino non sono quel tipo di persone. L’agitato urla più che altro a se stesso e non a gli altri.»

 

Vi consiglio vivamente la lettura di questo peculiare e bellissimo romanzo, figlio di una letteratura, quella islandese, che andrebbe scoperta e riscoperta con cura e con pazienza.

Mànasteinn non ha niente da invidiare a nessuna grande storia, si resta attaccati alla pagina, e ci si perde nel mondo, tra le strade, nei pensieri e nelle nevrosi di Màni.

 

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Se da se stessi non si scappa, è possibile smettere la guerra, cercare una pace, un accordo, chiedendo in cambio, dalla vita, un pezzo di realtà che assomigli almeno un po’ a quello visto dentro la sala di un cinematografo, su uno schermo, a occhi spalancati, con il cuore che scostumato salta qualche battito.


Per la prima foto, copyright: Andrew Neel su Unsplash.

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