La lotta della luce contro le tenebre, la vita del fotografo František Drtikol
C’è il passo della Genesi, quello dov’è scritto che «Dio vide che la luce era buona; e Dio separò la luce dalle tenebre». František Drtikol, uno dei più celebrati fotografi cechi del secolo scorso, nacque nel 1883 in un posto in cui luce e tenebre si sfidavano continuamente: la città mineraria di Příbram nella Boemia centrale che allora faceva parte dell’Impero austro-ungarico.
Drtikol è il protagonista della biografia romanzata di Jan Němec, Storia della luce, uscita da poco per Safarà editore, piccola ma attiva casa editrice del nostro Nord-Est, e nella traduzione di Elena Zuccolo. Una delle prime immagini del romanzo è il protagonista che col suo amico Hynek ammira lo “stufenwerk”, un tipo di scultura che rappresenta la miniera, creata combinando statuine e minerali decorativi. Il giorno dopo un enorme incendio farà una strage tra i minatori bloccati nelle profondità di quegli alveari della città sotterranea (anche il padre di Hynek purtroppo sarà nella conta dei morti): «il fuoco negli antri bui, invece di bruciare tutto il legno fino ad arrivare alla roccia, si unisce ora all’acqua generando una nube di vapori dolorosi... Il fumo rende difficili i soccorsi, si fanno delle prove con le torce infuocate, ma la fiamma sopravvive solo fino all’ottavo livello, poi la luce viene soffocata dai gas velenosi e dalla carenza di ossigeno. E dove il fuoco soffoca la luce della fiamma, soffoca anche l’uomo».
Drtikol, il giorno della tragedia, «il giorno in cui termina la sua infanzia», si posiziona sopra la collina che domina la cittadina per poter “riprendere” la scena dei soccorsi grazie alla sua matita Koh-i-noor bianca con gomma (lui che aveva una vera e propria passione per il disegno) e rendere così fattiva testimonianza di quello che è accaduto. Sulla collina incontra uno degli uomini impegnati nelle azioni di salvataggio: il minatore-carpentiere Augustin Zluticky (oppure il suo fantasma, o ancora il suo angelo custode?). Augustin chiede a František un ricordo di quei momenti: proprio il suo disegno. Il ragazzo quando va a casa sua per donarglielo scopre che l’uomo era morto nelle operazioni di soccorso dentro la miniera.
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La sua vita di adolescente continua con una carriera scolastica non brillante, che gli permette comunque, soprattutto quando viene punito dagli insegnanti, di avere piacevoli momenti di solitudine (per pensare ai suoi disegni). L’emporio del padre di Drtikol non avrebbe dato da vivere al figlio, così Frantisek viene mandato all’atelier del fotografo Antonin Mattas («da lui non ci si poteva certo aspettare degli scatti artistici, ma nessuno ci teneva nemmeno»); la scelta non si rivela granché azzeccata. Mattas lo usa soltanto come aiutante, rubandogli il tempo che poteva dedicare all’arte (precludendogli magari l’accesso all’Accademia di Praga): «nella camera oscura ti senti come una delle patate marce della cantina. Ti ricopri di germogli e cerchi ogni pretesto per uscire in cortile o andare almeno nella stanza della stampa».
Per non finire di marcire František decide, con la benedizione del padre, di iscriversi all’Istituto di studio e ricerca per la fotografia di Monaco che organizza un corso biennale di fotografia.
L’Ottocento, il secolo borghese con i suoi mascheramenti, i suoi occultamenti è appena stato lasciato alle spalle (il padre di Drtikol invita il figlio a dargli del tu allo scoccare del 1900). Occorre leggere i volti, insegna Gustav Emmerich, uno degli insegnanti della scuola di Monaco, perché soltanto leggendo attentamente i tratti di una persona si riesce ad arrivare alla verità dell’arte.
Un’arte, quella della fotografia, che si affida “alla calligrafia della luce” e che deve combattere oramai con l’epoca della “riproducibilità tecnica”, con le macchine fotografiche messe a punto dalla Kodak: «a quanto pare sta iniziando l’era delle fotografie inutili, delle cosiddette istantanee, che offrono agli oppositori della fotografia artistica un numero infinito di munizioni a buon mercato». A Monaco, dove hanno studiato i migliori allievi di Alphonse Mucha, František trova un’ambiente pieno di fermenti culturali, pieno di vita («è tutto un movimento, tutta un’agitazione, non sai dove posare gli occhi»); nel corso del secondo anno di studi diventerà il migliore allievo della scuola. Dopo aver svolto il servizio militare, torna a Příbram per aprire il suo atelier fotografico, ma la cittadina non gli riserva le attenzioni dovute (forse perché in città ce ne sono già due ben avviati) e non gli permette di approfondire uno dei suoi temi preferiti: la fotografia del corpo nudo («il corpo a differenza del viso, non riesce a fingere, questo è il suo vantaggio. Inoltre la bellezza del corpo nudo è stata finora sottovalutata e repressa in nome di una morale dubbia che dà la precedenza ai costumi più che alla naturalezza»).
È allora tempo di ricominciare, questa volta a Praga, dove incontra quello che nei primi anni nella città boema sarà una specie di mecenate per lui: Augustin Škarda. Drtikol diventa un nome molto conosciuto in città finché lo studente serbo Gavrilo Princip in quel fatale giorno di giugno, a Sarajevo, non spara e uccide l’erede al trono austro-ungarico.
Scoppia il primo conflitto mondiale, la grande carneficina. Frantisek, durante i suoi anni al fronte, scriverà molte lettere alla donna di cui si è innamorato, Eliška Janska, una ragazza dalla mentalità borghese che ferirà i sentimenti del fotografo, il quale d’altro canto precipita testardamente in una sorta di sconclusionato romanticismo. Come lui stesso afferma, «non voglio nessuna donnina che pulisca e cucini in continuazione, ma voglio una musa, una modella, un’amante tutta per me». Eliška non è all’altezza di questi ideali. In seguito Drtikol sposerà la ballerina di danza classica Ervina Kupferova che aveva fotografato già prima della guerra («sembra una donna di colore con la pelle chiara, ha le labbra carnose e dietro di essa dei grandi denti bianchi, e quando sorride – e lo fa spesso – le sue narici si allargano»). Lui e Ervina rappresentano al meglio la nuova nazione cecoslovacca (il presidente Masaryk sarà tra i clienti del suo atelier fotografico). Ma il rapporto a due si logora presto, malgrado la nascita di una figlia; dopo appena tre anni non sono in grado di venirsi incontro «nemmeno nelle cose più semplici». Drtikol ha a che fare con la donna degli anni Venti, «sicura di sé, una creatura sessuale, una donna autosufficiente» che «non si vergogna affatto di avere le proprie idee sugli uomini».
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E lui, nel frattempo, ha sempre meno interesse per la fotografia, perché si trova troppo spesso davanti individui dimentichi perfino del proprio corpo («si affezionano alla loro vita, come se non esistesse nient’altro, orgogliosi addirittura della loro mediocrità»).František, sempre più attratto da altre forme di conoscenza della realtà, finirà col vendere il suo atelier; si ritirerà in campagna a dipingere e a dedicarsi alla meditazione e alla filosofia orientale.
Němec, in questo romanzo quasi torrenziale, descrive le gesta di un artista randagio, un artista che non si piega alle mode del momento ma combatte tutta la vita per trovare la via autentica all’espressione artistica, alla bellezza, alla verità delle cose. Forse il testo avrebbe avuto necessità di alcuni tagli; si ha la sensazione, a volte, che si perda nel voler raccontare tutto, ogni minimo dettaglio, a scapito magari di una “panoramica più sfumata”. Il romanzo riesce a descrivere bene il senso di un’epoca perduta, in cui l’arte era ancora una forma di scoperta di sé e del mondo, così diversa dalla mercificazione/mediocrità in cui è troppo spesso relegata oggi.
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