La Londra degli anni Ottanta. “Il colore della memoria” di Geoff Dyer
Autentico. Intenso. Potente. Questi sono solo alcuni degli aggettivi con cui possiamo descrivere Il colore della memoria, un libro affascinante e pungente dove Dyer ci fa conoscere la Londra degli anni Ottanta attraverso gli occhi di un narratore di cui non sappiamo il nome.
Geoff Dyer, autore britannico conosciuto soprattutto per le sue opere di narrativa e saggistica, ha pubblicato Il colore della memoria, suo romanzo d’esordio nel 1989. Oggi, dopo svariati anni, ci viene riproposto grazie al Saggiatore che lo riporta nelle librerie nella traduzione di Giovanna Granato.
Sono piccoli istanti della vita di Freddie, Carlton e Steranko che lo scrittore ci racconta; insieme a Foomie, Monica e Fran passano le loro giornate nel completo ozio: fumando erba, bevendo birra e ascoltando Coltrane. Tra una festa e l’altra in attesa del sussidio di disoccupazione, questo gruppo di amici trova anche il tempo per svolgere qualche impiego, come lavorare per un’agenzia che svolgeva indagini di mercato o fare gli imbianchini.
«Io ero così, noi eravamo così; ed era così che trascorrevamo il tempo, sprecando interi pomeriggi e fregandocene di tutto.»
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La vera protagonista del romanzo però è Londra.
Precisamente è a Brixton, un quartiere multietnico di South London, dove la storia si svolge.
Questa città ci viene descritta come un posto bagnato dalla pioggia anche ad agosto, una metropoli dove di notte al buio era meglio non correre, dove d’estate ogni giorno veniva prevista una sommossa, dove le rapine nelle case erano all’ordine del giorno ed era più facile stare a guardare un povero essere pestato in metropolita che aiutarlo e così venire infilzati. Un luogo che viene a volte odiato e amato, dal quale si vuole fuggire per giungere in un posto dove «si possa andare a spasso dappertutto... dove la notte è sempre tiepida e te ne puoi andare a zonzo per le stradine insieme con gente di qualsiasi razza ed età; dove ci siano un sacco di jazz club e la birra costi poco.»
È un romanzo impegnativo e complesso da leggere. Il libro doveva appartenere al genere del diario e infatti può sembrare che non abbia una vera e propria trama, ma è proprio il modo acuto e diretto in cui Dyer scrive che ti permette di vivere insieme a questi ragazzi la loro stessa vita, di cogliere i sogni di Freddie, lo spirito di Carlton e la creatività di Steranko.
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Tra le pagine di Il colore della memoria alla paura vengono sempre contrapposti dei sentimenti positivi come la spensieratezza che si può provare passando una giornata sui tetti, sotto il sole, con una birra e un libro di Calvino, oppure in casa davanti a una finestra ad ascoltare il rumore della pioggia e allora tutta quella desolazione sembra svanire lasciando il posto all’amore, all’amicizia. Un’amicizia pura, che non ti costringe a cambiare e a diventare spettatore della tua vita ma protagonista. Questo sentimento lo vediamo raccontato attraverso i gesti più semplici, nell’acquisto di un disco, in uno sguardo, in un abbraccio, nel silenzio.
«Non importa se non dicemmo altro. Non importa se non ci aggrappammo l’uno all’altro singhiozzando; non esistevano parole adatte alla circostanza. La tenerezza è un fatto d’inflessione, non di vocabolario.»
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È un libro che fa comprendere a chi lo legge come i ricordi siano potenti, come i sensi riescano come per magia a farti rivivere delle sensazioni e riportarti in un passato che non vorresti abbondare. È un’opera basata sulle percezioni, ogni cosa, ogni suono e odore viene descritto in modo tale che per il lettore è come stare al margine di ogni avvenimento raccontato.
«I colori sono incredibili: ci sono i rossi, i blu e i bianchi delle magliette, dei calzoncini e dei vestiti; un’arancia sbucciata a metà; un cappellino da ciclista giallo; le grosse strisce di una sedia a sdraio. Al di sopra di ogni cosa l’azzurro vuoto del cielo, il colore della memoria.»
È un libro fatto di colori, i colori della memoria.
Per la prima foto, copyright: Clem Onojeghuo.
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