La libertà di stampa in Italia è solo un'illusione, ecco i motivi
La libertà di stampa in Italia è solo un'illusione? Ecco i motivi per cui, anche a pochi giorni dalla Giornata mondiale sulla libertà di stampa (in programma il 3 maggio prossimo), nel nostro Paese, i giornalisti non possono dirsi del tutto liberi:
- Il primo motivo è nell'Indice annuale della Liberta di stampa nel mondo presentato nel febbraio 2015 da Reporters sans Frontières. Una classifica che vede l'Italia scendere al 73esimo posto (su 180 Paesi presi in considerazione per l'indagine) nell'indice della libertà di stampa nel mondo. Come riporta l'osservatorio “Ossigeno per l'informazione” nei primi mesi del 2015 in Italia ci sono già stati 62 giornalisti minacciati per la loro attività, mentre nell'anno precedente 47 hanno subito aggressioni fisiche, 139 hanno ricevuto avvertimenti mafiosi, 22 danneggiamenti.
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- Il secondo motivo è legato alla cosiddetta legge sulla diffamazione, della quale si parla da un po' con proposte e annunci che non lasciano ragioni a una speranza di una revisione migliorativa: la proposta di modifica della Legge Stampa del 1948, infatti, sembra puntare più sull'introduzione di nuove sanzioni o limiti preventivi da imporre ai nuovi media più che a tutelare, come dovrebbe essere, la libertà di espressione. Nel 2014, in Italia le denunce e le azioni finalizzate a intimidire un giornalista sono state ben 276.
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- Il terzo motivo fa rima con freelance. Se non hai un contratto non hai nemmeno tutele, e di fronte a una querela con una richiesta di risarcimento pari a un anno di stipendio, anche senza una legge sulla diffamazione un giornalista ci può pensare un attimo prima di pubblicare un articolo che magari cambia poco, o nulla, ma in compenso gli può creare non pochi grattacapi. Basta leggere le storie di Andrea Signorelli o Donato Ungaro, per capire.
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- Quarto motivo: internet e trasparenza. Leggete The filter bubble, di Eli Pariser (in Italia pubblicato da il Saggiatore con il titolo Il filtro. Quello che internet ci nasconde). «La democrazia richiede che i cittadini vedano le cose dal punto di vista gli uni degli altri, e invece siamo sempre più chiusi, ognuno nella propria bolla. La democrazia richiede proprio la conoscenza comune dei fatti, e invece vengono offerti universi paralleli». Anche in Italia non si scappa da questa logica di personalizzazione, che tanto ricorda i condizionamenti da regime.
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- Come quinto motivo c'è la censura. Anche in tal caso c'entra la rete, e in particolare le richieste di rimozione di contenuti presentate dalle autorità statali a Google, autorità nel campo delle ricerche online. Nell'ultimo rapporto pubblicato da Google, l'Italia è sesta per numero di richieste inoltrate (relative a 1.401 utenti), e quarta per numero di richieste di rimozione dei contenuti (1.200 richieste, 1.174 delle quali relative a casi di diffamazione).
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- Sesto motivo: i social network. Sì, quelle piattaforme dove ogni giorno anche moltissimo tempo. Sono un’invenzione eccezionale che, paradossalmente, nel suo mettere tutti sullo stesso piano cozza con la libertà di stampa. Offuscando concetti quali l'autorialità e la professionalità parallelamente si offusca anche quello di democrazia. Così un tale di nome Zuckerberg può agevolmente sostenere che «uno scoiattolo che muore davanti a casa vostra può essere più interessante per voi delle persone che muoiono in Africa».
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Ovviamente queste motivazioni potrebbero comunque non convincere, specie se sei vicedirettore di un giornale importante e non bazzichi molto col giornalismo che si sporca le mani (vedi la polemica tra Pierluigi Battista e Reporters sans Frontières, riportata dal blog Libertà di stampa Diritto all'informazione). Secondo voi questi sei motivi possono bastare per dimostrare che la libertà di stampa in Italia è solo un'illusione?
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