La letteratura come imitazione? “Il pantarèi” di Ezio Sinigaglia
Il pantarèi, scritto da Ezio Sinigaglia e pubblicato per la prima volta nel 1985, viene riproposto dalla casa editrice TerraRossa (sarà in libreria dal 24 gennaio), rimandando al lettore contemporaneo una serie di interrogativi che ancora non trovano risposta.
«[…] Evidentemente le arti, tutte le arti visuali, stanno democraticizzandosi nel senso peggiore della parola. L’arte è produzione di oggetti di consumo, da usarsi e da buttarsi via in attesa di un nuovo mondo nel quale l’uomo sia riuscito a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza. [...] Ma perché oggi più che mai l’uomo civilizzato è giunto ad avere orrore di se stesso? […] Si potrebbero moltiplicare le domande con l’unico risultato che non solo la poesia, ma tutto il mondo dell’espressione artistica o sedicente tale è entrato in una crisi che è strettamente legata alla condizione umana, al nostro esistere di esseri umani, alla nostra certezza o illusione di crederci esseri privilegiati, i soli che si credono padroni della loro sorte e depositari di un destino che nessun’altra creatura vivente può vantare. Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. È come chiedersi se l’uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione (e se di un tale giorno, che può essere un’epoca sterminata, possa ancora parlarsi).»
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Con queste parole il poeta Eugenio Montale saluta, nel 1975, l’attribuzione del Premio Nobel per la letteratura, sollevando domande e dubbi sul ruolo effettivo non solo della poesia, ma delle arti in generale, all’interno di un panorama mondiale in fortissima crisi governato da una dissolutezza mercificatrice che miete sempre più vittime. Discorso analogo, pur ristretto al genere romanzo, è quello proposto da Sinigaglia all’interno del libro, servendosi del protagonista: Daniele Stern. Poligrafo senza occupazione, come lui stesso si definisce, riceve il compito di redigere un saggio riguardante il Novecento letterario, per un’enciclopedia che avrebbe dovuto coinvolgere la più ampia porzione possibile di pubblico, indirizzata in particolar modo a quello femminile. Così, scrivendo dei principali romanzieri – da Joyce a Kafka, passando per Musil e Robbe-Grillet – sembra confondere la sua vita con le trame vorticose di quelle squisite arditezze letterarie. In effetti le vicende personali di Daniele annoverano, oltre a una separazione piuttosto conflittuale con la moglie, una serie di indecisioni perenni sia sul piano lavorativo che sul piano sentimentale, attribuendosi la qualifica di «fredda epitome».
«E davvero sarebbe più riposante, visto che proprio non si può fare a meno di una memoria e neppure all’opposto si può […] più riposante, celere e vantaggioso se ci accontentassimo di archiviare i ricordi in schede gelidamente essenziali fulminee ed esaurienti […]»
Così Stern, come quei personaggi che si accinge a commentare e a descrivere coniugando sintesi ed efficacia, prova dolore per il suo passato, fornendo al lettore però un dato riflessivo metaletterale, nonché lo scopo per cui il libro è stato scritto: quanto pesa oggi la memoria dei maestri del romanzo moderno? Hanno cioè apportato un radicale rinnovamento nel genere letterario o ne hanno sancito la morte definitiva? Certo è che queste riflessioni nel 1985 apparivano attualissime, basti pensare che Il nome della rosa di Eco, romanzo di ben altro stampo rispetto ai precedenti letterari contemporanei, è stato pubblicato per la prima volta nel 1980, quasi a voler riaffermare ancora una volta la possibilità di scrivere un romanzo secondo canoni più schiettamente classici.
«Questo è un buco nero. Aggiungerò per Stern (il cui nome, noto incidentalmente, significa appunto stella) che il confine di un buco nero, cioè il limite oltre il quale la luce non può scappare, ha a sua volta un nome molto bello, che sicuramente colpirà la sua fantasia: si chiama "orizzonte degli eventi”.» «Misurarsi con le stelle rese tutti pensosi e un po’ preoccupati. » […]«A volte, la realtà mostrava a Stern facce così contraddittorie e incomprensibili che si sentiva vacillare […]. Sempre aveva pensato che, dal labirinto di Dedalo, solo un cieco avrebbe potuto uscire.»
Daniele infatti ha chiuso nel cassetto, ormai da diverso tempo, la bozza di un romanzo che non vuole più scrivere, forse proprio per quel timore di intraprendere una via che lo costringa a misurarsi con le stelle a lui precedenti. Compito ancora più problematico se si staglia davanti a lui una realtà complessa, a tratti nauseabonda, così difficile da raccontare, perché molto spesso difficile da capire; non sono sufficienti d’altronde delle chiavi di lettura univocamente predefinite, in un mondo che chiede sempre di essere eccezione e mai norma: ma il grande paradosso contemporaneo consiste proprio in questo, nell’aver reso anche l’eccezione una norma. Una volta cioè esplorate tutte le possibili vie narrative si giunge al punto di impossibilità di scrivere qualcosa di nuovo, rientrando o nella categoria di coloro che non tengono conto delle evoluzioni della materia narrativa e imitano l’Ottocento, oppure di quelli che non fanno altro che imitare più o meno pedissequamente proprio gli scrittori che lui si trova a recensire. A quale scopo è quindi destinata la letteratura, se non quello imitativo?
«Non è provato che la letteratura, o l’arte in genere, non sia altro che un tentativo di discendere vivi all’inferno (o di salire al paradiso […]), né che il valore di un’opera d’arte consista nell’efficacia delle sensazioni “al di là” che essa ci trasmette. Non è provato: ma è certo che di discese agli inferi la letteratura trabocca.»
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Oltre quindi alla definizione di imitazione, della letteratura a uso meramente consumistico, il valore che essa può assumere spazia da un campo di applicazione meramente aderente al reale a uno più intimistico riguardante anche gli aspetti più collaterali dell’animo umano e quindi la continua ricerca di novità non va tanto orientata in termini di forma e contenuti, quanto alla capacità che ognuno di noi ha di scendere nel proprio inferno o salire fino in paradiso e trasporlo nella maniera che più gli è congeniale. Appare opportuno rimarcare la differenza che sussiste tra aemulatio e imitatio: non importa il modello narrativo scelto, ma la passione e l’aderenza tra parola e sentimento. Proprio Leopardi, sulla tematica dell’imitazione, si espresse, nello Zibaldone, in questi termini:
«Qualunque abilità materiale che si acquista per insegnamento, si acquista per sola imitazione. Quelle che si acquistano da se, si acquistano mediante successive esperienze a cui l’uomo va attendendo, e poi imitandole, e nell’imitarle, acquistando pratica, e imitandole meglio finch’egli vi si perfeziona. Così dico delle facoltà intellettuali. La stessa facoltà del pensiero, la stessa facoltà inventiva o perfezionativa in qualunque genere materiale o spirituale, non è che una facoltà d’imitazione, non particolare ma generale. L’uomo imita anche inventando, ma in maniera più larga, cioè imita le invenzioni con altre invenzioni, e non acquista la facoltà inventiva (che par tutto l’opposto della imitativa) se non a forza d’imitazioni, ed imita nel tempo stesso che esercita detta facoltà inventiva, ed essa stessa è veramente imitativa […]. Il poeta non è imitatore se non di sé stesso.»
Sicuramente l’abilità di Ezio Senigaglia è stata quella di aver saputo tradurre in una scrittura spesso nervosa, priva di pause, con continui flussi tra realtà esterna e interna e tra immaginazione e realtà quelle domande cogenti che da molto tempo hanno intrappolato il mondo della scrittura. E forse alla letteratura è stato relegato un ruolo marginale perché non considerata così immediata come può essere il mondo dell’immagine e dell’apparenza, perché molto spesso il nuovo non appare così evidente. C’è ancora qualcosa da imparare da un vecchio romanzo polveroso o qualcosa da aggiungere in chi ha frantumato la forma romanzo? Ognuno può trarre le proprie risposte da questo libro.
Per la prima foto, copyright: Eli Francis su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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