La lenta morte di Taranto
Se ne parla poco, ma Taranto vive una lenta morte.
L’Ilva, temporaneamente nazionalizzata, perde centinaia di migliaia di milioni di euro, dopo aver imbrattato profondamente la salute della seconda città della Puglia.
Taranto è il condensato più brutto del peggio della politica industriale italiana: qui, grazie a un incrocio perverso di responsabilità, si è sedimentata morte, affastellato dolore, accumulato rimpianto per un passato mitico, dimenticato e insostenibile.
Il sindaco tarantino, Ippazio Stefano, ha recentemente azzerato la giunta, per rilanciarsi nell’attività amministrativa, senza citare tra le motivazioni la sostanziale incapacità della politica cittadina e regionale di governare il mostro mangia vita.
Dunque adesso Taranto è una città acefala, dove nessuno comanda, mentre servirebbe un coro, una polifonia di voci nuove per costruire un senso di comunità. Arrivare a Taranto, attraversarla, significa entrare nella densa indolenza di una città ferita a morte, dove il lamento è stato sostituito da un rabbioso quanto rassegnato silenzio.
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La muta Taranto, che ogni tanto si ribella e poi torna a dormire, non si riscuote, non si rialza, e aspetta: che arrivi un salvatore a tirarla fuori dalla melma velenosa dell’Ilva. Ma nell’attesa la città perisce, lentamente si lascia andare come un ammalato terminale, senza scossoni, senza troppe sofferenze, distesa nel suo letto di acqua marina, protesa verso il passato. Già, a sentire i tarantini è forse il passato il futuro della città. Ma quale passato? La Taranto della Magna Grecia non esiste più, non potrà essere ripristinata così, per gioco, perché gli investimenti da fare sarebbero impensabili: e Roma non ha voglia di veder risorgere il Sud, questo è ormai chiaro da tempo. Il rischio vero, allora, è che Taranto venga sepolta dalla cenere del lavoro, dalla disoccupazione totale, unico caso in Europa, da cui non si salverà manco per miracolo. Per questo tutta Taranto comincia a specchiarsi nel volto rattristato del quartiere Tamburi o di Paolo VI: pochi denti, respiro stretto, polmoni saturi di miasmi e disoccupazione, tantissima disoccupazione senza lavoro nero. Ecco, questa la lenta morte di Taranto nel nostro Paese in declino permanente.
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