La Grecia è un Paese in ripresa
È difficile da credere, ma la Grecia, adesso, è un Paese in ripresa. Non sono soltanto i dati sul Pil nel primo semestre del 2015 – un netto più 1,5 per cento – a dircelo, ma le parole dei greci.
Siamo stati in Grecia e abbiamo interrogato la gente comune, i protagonisti anonimi di una realtà che il resto d’Europa dipinge come una specie di inferno sottoproletario: dove povertà e disperazione governerebbero le relazioni sociali.
Non è del tutto vero. Un primo dato certo è che in Grecia il ridimensionamento del consumo privato c’è, e si vede, nei costumi locali e in quelli morali. Non è un vero e proprio ritorno a un passato di sobrietà, quanto piuttosto una frenata nella rincorsa a un modello che è crollato ovunque.
In Grecia è più evidente che il consumo fine a se stesso è defunto per lasciare spazio a una rinnovata essenzialità, fatta più di solidarietà che di denaro, con qualche sfumatura di kitsch un po’ balcanica.
Abbiamo incontrato medici e infermieri, scottati dall’azione della Troika ma orientati a riprendersi in mano il destino sociale e sanitario di un Paese. Non è poco, perché si rompe l’individualismo ufficiale europeo a vantaggio di un’identità fondata sul welfare, sulla cura dell’altro. Un anziano medico socialista ci ha detto che la preoccupazione che tiene unita la Grecia non è non farcela, ma farcela con troppa sofferenza. Ecco che emerge una dignità sotterranea, che scavalca il tempo, salta il presente e prende questo Paese per i capelli per tirarlo fuori dal pantano in cui l’economia Ue l’ha infilato negli ultimi mesi.
Il fatto forse più interessante è che tutti, di destra o di sinistra, sentono la Grecia come un destino. Non paiono prevalere fratture politiche – quelle alle quali noi italiani non vogliamo rinunciare ancora – né divisioni pretestuose: ci sono nette divisioni ideologiche perché il Paese è diviso tra pochissimi ricchi e tanti poveri. Ed è tra i poveri che si costruisce la nuova Grecia dell’epoca Tsipras, tra quelli di destra, di sinistra e di centro. Nella povertà, nel riconoscimento della povertà come terreno comune sul quale ciascuno gioca una partita insieme agli altri.
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A favorire, secondo noi, questa nuova identificazione sociale, è anche la Chiesa ortodossa, che si mette in campo con onestà e mitezza, garantendo una sommessa sponda spirituale di fronte all’arretramento materiale della società greca. Un ruolo visibile nei luoghi di culto, aperti sempre, pronti a ospitare la preghiera in ogni ora del giorno. Un ruolo giocato dappertutto, in città come nell’ultima delle isole. Mentre paiono meno presenti i partiti, intesi come corpi intermedi della mediazione tra potere e consenso. Esiste Tsipras, uomo solo al comando, garante di un ordine che si sta costruendo grazie al suo carisma ormai mondiale, ma non c’è l’egemonia di Syriza.
La Grecia entra nella dimensione populistica da sinistra, nella fase più acuta della sua crisi, gonfiando la vela della sua democrazia con il fiato del suo presidente del consiglio.
Il risvolto della medaglia, di cui sono consapevoli tutti i greci incontrati in questo viaggio, è che dopo Tsipras c’è sempre la democrazia, che morto lui, si fa un altro papa. Un leaderismo a termine, democratico, a scadenza fissata dall’Ue e dal gradimento dei greci verso questo nuovo corso incarnato dal giovane premier.
La Grecia sa di non avere terze vie: o fa così o non si risparmierà alcun dolore. Così ci viene spiegata la vittoria del No (Oxì) al referendum: Si doveva dare una risposta politica all’Ue e al quarto Reich della Merkel, e l’abbiamo data in piazza e nelle urne. Un azzardo, certo. Ma come si fa a non giocare d’azzardo quando ti hanno puntato una pistola alla tempia? ci domanda una giovane albergatrice.
Nella lotta con la Troika, i greci ci restituiscono un’immagine epica, di un rovesciamento di fronte, di una ritorsione costante dei fatti, della storia, grazie all’intervento provvidenziale dell’intuito politico del dio della democrazia. Un dio che, a sentire i greci, ha seminato per millenni il suo gene in questa terra e ora, se tutto va bene, partorirà un figlio nuovo, una specie di nuovo Mediterraneo.
Questa è forse la parola più sentita di questo viaggio: il Mediterraneo. I greci lo sentono europeo, in contrapposizione a quello turco, e unito a Nord, con l’Italia, la Francia e la Spagna. Una specie di piccola Ue, con una vocazione solidaristica che contrasti con quella individualistica a trazione tedesca. Lo sognano, un Mediterraneo così, perché ce l’hanno sotto casa, ai piedi delle acropoli. E dal mare ci tendono una mano invitandoci a prendere una posizione. Una mano proveniente dall’antichità e che, forse, può condurci davvero verso un’altra Ue. Questa Grecia, allora, è in ripresa morale prima che economica, e sta anche a noi sorreggerne responsabilmente lo sviluppo.
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