La gratificazione di un viaggio senza eguali. “L’ultima Londra” di Iain Sinclair
Iain Sinclair, scrittore e film-maker inglese, arriva in Italia con il suo nuovo libro dal titolo L’ultima Londra (ediz. il Saggiatore – traduzione di Luca Fusari).
Famosissimo in patria, ma non ancora così conosciuto nel nostro Paese, Iain Sinclair è considerato uno dei più grandi critici di Londra proprio perché ha dedicato alla capitale britannica gran parte della sua produzione letteraria. Ma, allo stesso tempo, di Londra è anche il fan più rumoroso; e come ogni appassionato che si rispetti, il suo modo di vedere le cose non è mai a senso unico, ma pieno di sfumature(dello stesso autore disponibile anche London Orbital, sempre ediz. Il Saggiatore).
Se quello che ci aspettiamo è un libro ordinario, L’ultima Londra di Iain Sinclair ci stupirà fin dalla prima riga della prima pagina.
Il volume inizia e si snoda, principalmente, nei dintorni del quartiere di Hackney, dove l’autore ha vissuto gran parte della sua vita. Durante una delle sue passeggiate a piedi, si ferma nel vicino parco di Haggerston, e si mette a osservare un uomo su una panchina. Un barbone. Un «esploratore urbano».
«Siede, sprofonda. Si sistema. Schiena sui mattoni rossi. Curvatura della spina dorsale. Niente spina. Un Buddha Vegetativo su una panchina dura.»
Da questa immagine potente, tridimensionale, inizia il viaggio.
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Quello che balza subito all’occhio è l’immensa abilità di Sinclair di riuscire a fare immergere il lettore dentro la città, che è tutta un movimento; è stratificata, sia metropoli sia piccolo quartiere, sia folla sia individualità.
Ci si trova dentro una Londra senza confini; gli odori, i sapori, i canali, i parchi, ma esattamente nel punto dello spazio-tempo dove lo scrittore ha deciso di posare gli occhi. Ed è uno sguardo complesso, il suo, mai facile.
Uno sguardo che parte da un barbone per arrivare a parlarci alla Brexit, e che poi affonda in un canale, «sotto il peso dell’acqua» per, alla fine, raccontare di Margareth Thatcher, ma allo stesso modo punta l’attenzione sulle orde di giornalisti con le loro telecamere. Uno sguardo che si ispira allo scrittore tedesco W.G. Sebald (a cui dedica un capitolo e al quale troviamo riferimenti, anche fotografici, durante tutto il libro), e che poi passa alla Londra sconosciuta, che s’infila dentro vie secondarie, nella letteratura e nella storia locale, scrivendo di quello che sfugge all’occhio non esperto.
Sebbene il punto di vista narrativo sia chiarissimo, un io narrante che va ben oltre il concetto di libro scritto in prima persona, il movimento che IainSinclair riesce a dare al libro è unico. Ci si trova letteralmente piazzati dietro gli occhi dello scrittore. E questi occhi si muovono veloci, in tutte le direzioni, senza avvertire o dare spiegazioni.
Iain Sinclair cammina, spesso da solo, con la sua macchina fotografica, o con i suoi amici scrittori e poeti,seguendo un itinerario ispirato dalle persone e gli oggetti su cui pone lo sguardo, ma anche dalle sensazioni che prova e dalla sua immensa conoscenza della città. Osserva ciclisti e pedoni, ad esempio, che chiama «il minestrone urbano», che sfrecciano come automi sui marciapiedi e nelle vie, prede di una tecnologia che l’autore non sembra amare più di tanto.
«Come fanno a evitare le collisioni? Testa bassa, occhi nelle mani. Tutti, dal primo all’ultimo, pizzicano e punzecchiano col dito i loro dispositivi, come se non funzionassero.»
Ma osserva anche le grandi opere urbanistiche che si sono portate, o si porteranno presto, via la vecchia città.
«La lastra di cemento del parcheggio multipiano in costruzione a White’s Row nel luogo dell’ultimo omicidio dello Squartatore era un gorgo da incubo di olio e sporcizia. Ma questo orizzonte libero da intralci, con la Christ Church di Hawksmoor sullo sfondo, non si vedeva da generazioni. E presto sarebbe stato obliterato dall’ultimo affondo di torri ambiziose.»
IainSinclair ha un rapporto conflittuale con Londra stessa, ama indagare su tutte le sue dicotomie, senza per forza giudicarle o esprimere un parere. E nel suo modo di raccontare, la città riesce a emergere da sola, con tutta la sua forza e la sua debolezza. Se ci siete già stati, la riconoscerete.
«Londra è una magnifica pluralità, un’iterazione di potenzialità: nuove vite, nuovi inizi. Il profilo della City, glaciale dentiera snudata sull’orizzonte meridionale, scintilla invitante. [...] I palazzi nuovi e gli ospedali pediatrici riconvertiti, le scuole e i bagni diurni traditi, parlano di uniformità; superfici splendenti, selezione all’ingresso, debito presente e profitto futuro. Londra come sobborgo di qualunque altro luogo: Città del Messico, Istanbul, Atene. Gli stessi 25 centri commerciali. La stessa alienazione governata.»
L’autore ama sempre partire dal dettaglio per descrivere il globale.
I suoi riferimenti sono in genere le persone invisibili, come gli artisti, gli scrittori, i barboni, ma anche i morti, come l’attrice di soap-opera Gemma McCluskie, della quale è stato ritrovato il cadavere; e anche gli animali, che non ama particolarmente. Soggetti nei quali si identifica o disidentifica, e che sembrano gli unici abitanti ancora reali in una Londra che sembra scomparire, uniformandosi ad altre capitali Europee.
Sinclair pone le Olimpiadi, che lui chiama «il trauma del 2012»,come il momento in cui le cose cambiano. Il momento in cui Londra entra nella sua fase finale.
«Il mio feticcio era credere che questi uomini e donne, incontrati a caso, appartenessero ad un antico ordine della città. Non erano cittadini di Olimpicopoli. I camminatori errabondi non avevano privilegi e ne erano fieri.»
IainSinclair è uno scrittore di raro talento.
Può trovare la bellezza dove gli altri trovano la povertà e può vedere la bruttezza dietro la bellezza. Senza dubbio il suo stile semi-poetico e a tratti disomogeneo non è per tutti. Ha il suo modo unico di raccontare le cose, e a volte è difficile entrare nelle sue meccaniche e comprenderle a pieno. Soprattutto quando alcune strade che percorre servono solo a confondere.
È una lettura a volte onirica, e anche ironica, che non segue sempre un senso logico. Che mette alla prova il lettore. E pretende impegno. Ma che alla fine può raggiungere il sublime.
La Brexit, il sindaco Boris Johnson, Donald Trump, i gangster, i pony express, lo Shard («un gigantesco pugnale, senza una vera funzione, un punto esclamativo sulla Google Map della città abbandonata che un tempo chiamavano Londra»a cui dedica un altro, imponente, capitolo), un oscuro libro del 1935, Haggerston Park, Hackney e una sequela di artisti, poeti e scrittori locali sono stati messi insieme, in questo libro. Sinclair ce li racconta come in un puzzle in continuo cambiamento, fra passato, presente e futuro, la cui incertezza sembra pesare molto sulle spalle dell’autore.
La vecchia Londra si trasforma sotto i suoi occhi e in tempo reale sotto quelli del lettore, sia in superficie, «Un pomeriggio andai a Whitechapel […] Ma Whitechapel non c’era più», ma anche nelle sue profondità, sotto l’asfalto, dove c’è ancora terra viva e umida, che sembra l’unico posto in cui rifugiarsi e cercare.
«I Sotterranei, landa non ancora colonizzata di fantasticherie infantili, sono il prossimo campo di battaglia. Ormai l’epidermide urbana è presidiata troppo pesantemente, troppo logora di chiacchiericcio elettronico, troppo corrotta da un assalto strategico alla memoria locale.»
La miriade di voci che si sentono per la città, una babele di lingue diverse, e il poco inglese rimasto che arriva comunque con un accento distorto all’orecchio attento dell’autore, i perenni rumori di sottofondo, i clacson, il frastuono ferroso della London Overground, le ambulanze e le sirene della polizia diventano anch’essi personaggi. Tutto il libro è pregno di rumori e voci che danno un’impronta acustica memorabile alle già accurate descrizioni dei paesaggi.
Mentre il volume si avvicina alla conclusione, Sinclair è di nuovo alla ricerca della prossima Londra: la cerca nelle zone di confine, si spinge verso la costa, lontano dal centro urbano, nei quartieri raggiunti dagli «sfrattati» e dagli eccentrici, come lui. Ma davvero esiste?
«Il futuro della nostra città stiracchiata era Barking. Barking era ‘l’adesso dove andiamo’ degli sfrattati di Hackney. […] Guardai le onde inesorabili per tre giorni. Non riuscivo a convincermi a tornare a Londra, città ormai abolita, aizzata contro il resto del paese.»
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Le passeggiate degli ultimi capitoli sono condivise con i suoi amici scrittori, poeti e registi, come John Rogers, Andrew Kötting ed Effie Paleologou. Camminano accanto all’autore in una ricerca che forse non avrà mai fine, perché Londra stessa continuerà a trasformarsi ed essi seguiteranno a camminare nelle loro “Londre” future e anche oltre.
L’ultima Londra non è una lettura facile. Ma ricompensa totalmente il tempo e lo sforzo impiegati, lasciando dentro al lettore la gratificazione di un viaggio senza eguali, che non si potrà mai più dimenticare.
Per la prima foto, copyright: Lea Fabienne su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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