“La gigantesca barba malvagia” di Stephen Collins: metafora della ribellione
Quando si vuole raccontare una storia come La gigantesca barba malvagia (edita da Bao Publishing), non si può usare solo la parola. Stephen Collins ci ricorda che la narrazione per immagini diventa potentissima quando si fa metafora, caricandosi di significato.
Sentiamo sempre più spesso l'utilizzo del termine “graphic novel”, ma quasi sempre viene usato a sproposito. Siamo circondati da fumetti che si autocelebrano e tentano di arrivare laddove l'esordiente Collins è riuscito.
Con la scelta di utilizzare soltanto il bianco e il nero che continuano a mischiarsi e sembrano lottare per tutta l'opera per sovrastare l'uno lo spazio dell'altro, l'artista crea già un conflitto che va oltre la storia raccontata.
Leggendo le prime pagine sembra di entrare in una storia già nota: un mondo perfetto, abitato solo da individui glabri, in cui il nostro protagonista vive e che verrà sconvolto da un evento straordinario. Un'isola ellittica chiamata QUI è lo scenario che circonda Dave, il nostro pelato personaggio principale, che ha come passione quella di disegnare le persone che passano davanti alla sua finestra e con un lavoro che lo tiene occupato per il resto del tempo. Oltre il mare che circonda questo fantomatico paese c'è l'ignoto, il LÌ (un gioco di parole che si perde fra HERE e THERE nonostante le traduzioni impeccabili di Leonardo Favia) di cui non si sa nulla e nessuno sembra interessato a ciò che vi accade. Ma a un tratto sul viso di Dave spunta un pelo. Nonostante venga tagliato tutti i giorni, ricresce e ben presto altri seguiranno a crescere riempendogli la faccia e diventando una folta barba che non accenna a fermarsi.
La gigantesca barba malvagia si può leggere su più livelli: è una storia di anticonformismo? È una storia sulla voglia di fuggire? È una storia sulla crescita interiore?
Forse raccoglie tutte queste sfumature e forse ogni volta che lo si prende in mano e lo si sfoglia si scopre un piccolo pezzo che avevamo saltato, come un piccolo pelo che era sfuggito alla rasatura in precedenza.
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Ci sono alcune splash page (in gergo fumettistico pagine senza riquadri con disegni che ricoprono una facciata intera) che ti fanno esitare, che ti rapiscono e non vogliono che prosegui. Mi è capitato una cosa che succede raramente, ovvero di tornare indietro come se la storia non volesse finire e avesse ancora qualcosa da regalarmi.
È curiosa la scelta della barba come funzione metaforica del caos e della ribellione, anche se in realtà il nostro protagonista sembra subire questa trasformazione. Dave è spaventato da questa “cosa” che cresce fuori di lui, ma le domande che si pone durante la sua vita hanno scatenato in lui un sano germe del dubbio che ha inevitabilmente creato dello scompiglio anche al di fuori del proprio “io”.
Mentre questa barba cresce fra le pagine, mi veniva in mente il naso storto di Uno, nessuno e centomila e lo sconvolgimento che porta nella vita di Moscarda, proprio come Dave, partito da un pelo fino ad arrivare a...
Il finale non posso proprio raccontarlo ma, sia a livello di sceneggiatura sia a livello grafico, mantiene alta la qualità che aveva raggiunto durante tutta la storia.
Se non vi siete mai avvicinati al mondo delle graphic novel e volete immergervi nella nona arte senza rimanere delusi, La gigantesca barba malvagia di Stephen Collins è un'opera così completa, dalla scelta delle parole ai disegni così semplici ma densi, che può arrivare a tutti.
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