La frustrazione dell’artista (e dello spettatore). “Robert e Patti” di Emanuele Aldrovandi e Francesco Frongia
Non c’è nulla di più frustrante del non essere capiti, o peggio, del non riuscire a farsi capire. Nessuno più di un artista può immedesimarsi al meglio in questa situazione, ne abbiamo sentito parlare tantissime volte. Il mondo è pieno di artisti, musicisti, attori che sebbene facciano dell’Arte il motore della loro esistenza, faticano a trovare un posto nel mondo. Di chi è la colpa? Il mondo è davvero cambiato così tanto da impedire a un artista di esprimersi?
Queste sono alcune delle domande che dominano Robert e Patti, una nuovissima produzione del Teatro Elfo Puccini di Milano che nasce da un’idea di Francesco Frongia – una delle colonne portanti del celebre teatro milanese – e dal testo di Emanuele Aldrovandi. Uno spettacolo “rock”, come ci ricorda il cartellone, che rimarrà in scena nella sala Fassbinder, sino al 14 novembre prossimo.
A dare vita al testo troviamo altrettante colonne portanti della scena milanese: Ida Marinelli – che interpreta la protagonista, Patti Johnson –, Riccardo Buffonini – nei panni di Robert – e Loris Fabiani, a cui viene affidato il ruolo del disperato agente di Patti. Come ci raccontano le note di regia, Aldrovandi ha scritto un testo «su misura» per Marinelli e Buffonini che si fanno, dunque, portavoce del grido disperato dell’artista moderno. «Se il mondo insiste col dire che non vali niente, viene da chiedersi se il mondo ha qualcosa che non va» dirà proprio Patti in una delle primissime scene.
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Riusciamo a percepire il senso di frustrazione che domina i personaggi già dai primi istanti di spettacolo, quando facciamo la conoscenza della protagonista. Patti Johnson è un’artista ormai al tramonto che però non ha nessuna intenzione di tramontare. Incompresa e depressa, Patti vive per la sua musica e le sue poesie, crogiolandosi e tormentandosi nel ricordo di un passato ormai lontano vissuto insieme all’amato Robert, da tempo scomparso. Un’esistenza non proprio idilliaca, ma che fatica a lasciar andare. Il fantasma di Robert non l’abbandona mai, ma non è l’unico spettro in scena. Robert e Patti è popolato, infatti, dall’eco di fantasmi appartenenti al panorama musicale e artistico degli anni Settanta, come gli evidenti riferimenti a Patti Smith e Robert Mapplethorpe, ma anche Andy Warhol e il poeta Allen Ginsberg, per nominarne altri.
Tutti i personaggi di Robert e Patti sembrano radicati in un passato che non ha alcuna intenzione di essere soppiantato dal presente. L’atmosfera generale è quella di una nostalgia dal sapore amaro e che fatica, a dirla tutta, a trovare risonanza presso un pubblico giovane. Lo spettacolo, però, non manca di elementi positivi. Primo fra tutti la recitazione. Ida Marinelli è straordinaria, e il Robert di Riccardo Buffonini sa essere tagliente e ipnotico al punto giusto. Menzione d’onore per Loris Fabian, che con il suo personaggio regala piccoli attimi di comicità, senza mai eccedere nella caricatura.
Tra i punti di forza troviamo anche le scelte riguardanti l’allestimento vero e proprio. L’assenza del sipario ci consente di entrare immediatamente nel bel mezzo della scena, all’interno del disordinato loft newyorkese di Patti. Un appartamento pieno di scatoloni, locandine e manifesti, senza contare le numerose parrucche, gli strumenti musicali e i dischi. Sono tutti cimeli, che ci raccontano già molto della protagonista ancor prima che entri in scena. A enfatizzare il tutto, troviamo le canzoni originali di Cesare Malfatti che unisce musica e poesia con il preciso scopo di suscitare una reazione negli ascoltatori /spettatori.
Il testo vuole fare lo stesso. Ci riesce? Non ne siamo sicuri, e qui arrivano le note dolenti. L’idea di fondo è buona, ma ha ben poco originale. Il conflitto tra ambizione artistica e la necessità di dover soddisfare il gusto del pubblico per sopravvivere non è certo un argomento nuovo. Il che non vuol dire che non debba trovare ulteriore risonanza, ma il rischio è sempre quello di cadere nel “si stava meglio quando si stava peggio”, senza possibilità di trovare una via d’uscita.
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La scelta di utilizzare la musica rock come filtro per proporre questo tipo di riflessione poteva essere un ottimo punto di partenza, ma si perde un po’. L’impressione generale è quella di assistere a una celebrazione – senza dubbio giustificata e legittima – del passato, che però rischia di portare a un’eccessiva svalutazione del presente. È giusto celebrare anche chi, nonostante tutti i sacrifici, non ce l’ha fatta a raggiungere la fama, ma diventa davvero difficile non sfociare nella retorica e poi, di conseguenza, nella banalità. Purtroppo, questo è il caso di Robert e Patti da cui, viste le premesse, e lo diciamo con un po’ di rammarico, ci si aspettava decisamente qualcosa di più.
ROBERT E PATTI
uno spettacolo di Francesco Frongia
con Ida Marinelli, Riccardo Buffonini e Loris Fabiani
luci Giacomo Marettelli Priorelli
suono Gianfranco Turco
Pezzi di te e Nasci brani originali di Cesare Malfatti
assistente alla regia Alessandro Frigerio
assistente alle scene Roberta Monopoli
capo macchinista Giancarlo Centola
sarta Ortensia Mazzei
stagisti:
regia Riccardo Vannetta
scene Elisa Gelmi, Chiara Modolo
produzione Teatro dell’Elfo
Le foto sono di Laila Pozzo, dal sito ufficiale del Teatro Elfo.
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