La forza delle donne ne “La bellezza rubata” di Laurie Lico Albanese
Il fascino dell’arte di Gustav Klimt e l’enorme ingiustizia perpetrata dai più grandi criminali che l’umanità abbia mai conosciuto convivono nel romanzo La bellezza rubata di Laurie Lico Albanese pubblicato da Einaudi con la traduzione di Maria Baiocchi.
La bellezza rubata ruota intorno alla figura di Adele Bloch-Bauer e al famoso ritratto che Klimt dipinse per lei. Ma c’è un altro quadro grazie al quale nasce l’interesse dell’autrice per la vita di Adele ed è quello che la scrittrice definisce «un modesto ritratto a olio della mia bisnonna ungherese». Laurie Lico Albanese scopre in giovane età che le sue origini italo-americane sono in realtà solo parte del suo corredo genetico. Nella sua famiglia vi è infatti una bisnonna ebrea rinnegata e che abbandonò la vita alto-borghese per inseguire l’amore. L’ebraismo – spiega l’autrice – insieme a tutto il suo passato fu cancellato così come scomparve per sempre il già citato ritratto a olio che la ritraeva. La scrittrice ha trovato, nel fascino di questa vicenda familiare e della figura della bisnonna forte e indipendente, l’ispirazione e la motivazione per ripercorrere la vicenda di altre due donne determinate e coraggiose, Adele Bloch-Bauer e sua nipote Maria Altman. Un romanzo tutto al femminile dunque. Un lungo viaggio nella storia del Novecento, in una Vienna capitale della musica che si lascia affascinare dalle avanguardie del primo Novecento grazie all’arte di Gustav Klimt per poi lasciarsi sedurre da ideali di grandezza che la faranno sprofondare nel baratro del regime nazista che tutto distrugge.
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La vicenda del ritratto conteso tra Maria Altman e la Galleria nazionale del Belvedere di Vienna è storia degli ultimi anni. È una vicenda che ha visto riconoscere all’ultima erede dei Bloch-Bauer – la nipote Maria – la proprietà del dipinto di Klimt che era stato trafugato quando i nazisti occuparono l’Austria e che il Museo rivendicava come proprio. Questa vicenda giudiziaria è stata anche portata sul grande schermo nel film diretto da Simon Curtis e interpretato da Helen Mirren, dal titolo Woman in Gold, uscito nelle sale un paio di anni fa. Qui prevale il punto di vista di una donna, ormai cittadina americana da quando fu costretta ad abbandonare la natia Austria, che torna nella città dei suoi ricordi più dolorosi e che lotta di fronte alle ingiustizie del passato. Ad accompagnarla in questo cammino in salita è l’avvocato Randy Schöenberg – nipote del grande compositore che pure in quanto ebreo fu costretto a lasciare la sua Vienna – il quale si occupa ancora oggi di restituzioni di opere trafugate durante l’Olocausto.
Laurie Lico Albanese si interessa a questo aspetto della vicenda nell’ultima parte del romanzo, in cui la linea del tempo subisce una forte accelerazione e si giunge rapidamente ai nostri giorni. Ma chi era la donna ritratta da Gustav Klimt? Quali erano le sue ambizioni, le sue speranze, le sue paure? Come è possibile che la sua vita, vissuta molto prima degli orrori dell’Olocausto, sia stata segnata da questa immane ingiustizia? Queste sono alcune delle domande sulle quali l’autrice di La bellezza rubata s’interroga.
I fatti che vengono narrati in questo romanzo sono autentici e sono il prodotto di un grande lavoro di ricerca ma ovviamente i dialoghi e i sentimenti delle due protagoniste sono totalmente frutto dell’immaginazione di questa studiosa anche se, data l’accuratezza delle sue ricerche, sono del tutto plausibili.
Il romanzo si apre a Vienna nel 1938. Qui facciamo subito la conoscenza di Maria, novella sposa dell’avvocato Fritz Altman. È giovane, bella, ha tutta la vita davanti. La vita che l’attende è fatta di cene eleganti tra uomini in smoking e donne fasciate in lunghi abiti di seta correlati di splendidi diamanti, champagne francese servito in bicchieri di cristallo, musica classica, arte, bellezza in ogni suo aspetto. Comprendiamo subito però che il destino beffardo strapperà via questa bellezza. Difatti Hitler sta per entrare in Austria e per la famiglia di Maria non c’è scampo.
Un salto temporale introduce l’altra protagonista del romanzo: Adele. Siamo nel 1886, nella residenza estiva di famiglia con il “Vecchio Danubio sullo sfondo”, ed è qui, tra gli agi di un’élite privilegiata, che facciamo la conoscenza di una giovane Adele già molto sveglia per la sua tenera età ed estremamente bramosa di conoscere ogni aspetto della cultura, dell’anatomia, della letteratura e soprattutto dell’arte, la passione che accompagnerà tutta la sua esistenza.
La Vienna di fine secolo è uno splendore. Le carrozze sfrecciano sulla Ringstrasse, all’ingresso del nuovissimo Museo della storia dell’arte svetta il murale dipinto da Gustav ed Ernst Klimt, nelle serate dei Salon si discute di psicanalisi e delle nuove teorie sull’interpretazione dei sogni mentre la nuova melodia che risuona già negli ambienti culturali della “città della musica” è l’avant-garde che ben presto esploderà fragorosa nella galleria della Secessione.
La narrazione procede su due piani temporali, alternando il punto di vista di Maria a quello di Adele. L’autrice narra la genesi del ritratto di Adele, le speranze e i desideri di questa bellissima e giovane donna:
«– Voglio tutto. Voglio questo, e voglio anche quello. Sono avida, Gustav.
– Anch’io sono avido, – rispose. – Siamo tutti avidi di qualche cosa. Solo che tu e io siamo disposti a riconoscerlo.»
Con gli occhi di Adele ci avviciniamo all’arte di Klimt, alle sue pennellate dorate, al suo genio indiscusso. L’esistenza agiata di Adele le permetterà di avere la migliore istruzione, di conoscere il Mondo, di esaudire ogni suo desiderio e di conoscere ed amare il grande pittore di cui diventa Musa ispiratrice.
D’altro canto Laurie Lico Albanese narra il disfacimento di tutto. Con gli occhi di Maria veniamo risucchiati in un vortice di tensione, angoscia e paura. L’arresto di Fritz, il silenzio dello zio Ferdinand, scomparso chissà dove, il sequestro di tutti i loro averi, i soprusi, la violenza. Il destino della famiglia Bloch-Bauer si compie e a Maria non resta che resistere, in un clima di paura e incertezze, per sé e per la sua famiglia. Per certi versi persino Giuditta, l’eroina ebrea che sconfisse Oloferne, sembra sconfitta sotto il giogo del regime quando persino la collana di Adele che orna il collo della guerriera, nell’omonimo quadro di Klimt, è andata perduta:
«La collana d’oro di Adele era unica al mondo. Era inconfondibile. Gliel’aveva regalata mio zio il giorno delle nozze, e lui stesso l’aveva data a me quando avevo sposato Fritz.
– Un ricordo di tua zia, – mi aveva detto, pieno di tenerezza.
La collana di Koloman Moser era appartenuta a me finché non l’aveva presa Landau. Adesso era della moglie di un nazista.»
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Maria ha perso tutto ma non la tenacia, la fierezza e la determinazione che possiamo ammirare nello sguardo assorto di Adele Bloch-Bauer nel celebre ritratto. In fondo l’anello di congiunzione fra i due piani temporali è proprio questo. È la forza che Maria eredita da Adele e che le permette di affrontare tutte le sfide che la vita ha da offrirle.
«Alla fine le misi un braccio attorno alle spalle e le sussurrai all’orecchio: – Sei femmina, ma puoi fare qualsiasi cosa –. Parlavo piano. Volevo che sapesse che in lei poteva esistere un coraggio feroce. Che capisse come la sua forza interiore un giorno avrebbe potuto salvarla, come aveva salvato me. – Puoi imparare qualsiasi cosa, puoi diventare qualsiasi cosa.»
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