La forza della vera letteratura. “Fuoco al cielo” di Viola Di Grado
Puntata n. 71 della rubrica La bellezza nascosta
«Le passava le dita tra i capelli crespi, una palla di polvere. I cani randagi volevano entrare, grattavano con le zampe sulla porta in legno scuro ingrossato dal freddo. I cani guaivano, infreddoliti e soli, ma loro non aprivano mai. Lui voleva aprire, conservava per loro ossa di pollo e renna accatastate, sul retro, e coperte vecchie. Lei no, non voleva vederli, odiava lo sguardo dei cani, tutto quell’amore allo scoperto, quel bisogno. Si gelava, meno trenta, meno quaranta. Pelle d’oca, dita fredde come chiodi. Un piccolo fuoco arancione crepitava nella stufa a muratura.»
L’amore, quando è assoluto, può diventare una malattia. L’ossessione di due corpi che si cercano costantemente e che quasi di scarnificano a forza di carezze e di strette prepotenti può avere la stessa portata di un disastro. Se c’è un limite a ciò che due essere umani possono provare l’uno verso l’altro, qual è? È davvero possibile che un sentimento che diventa riparo e rifugio e salvezza possa poi tramutarsi in una terra pericolosa, nel luogo di una possibile tragedia? Sono queste le domande che ci nascono nella testa quando arriviamo alla fine della storia di Tamara e Vladimir. Sono queste alcune delle cose che probabilmente ci potremmo chiedere quando avremo chiuso con le loro vite in bilico, con le loro esistenze sporche, fuligginose.
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Viola Di Grado è nata nel 1987, Fuoco al cielo è stato pubblicato dalla casa editrice La nave di Teseo.
Siamo in un villaggio sperduto, ai confini con la Serbia, che si chiama Musljumovo. Villaggio che è un non-luogo responsabile negli anni Cinquanta e Sessanta di tre catastrofi nucleari. Qui veniamo introdotti nelle vite di Tamara, insegnante nata e cresciuta nel paese che, abituata al deterioramento continuo di tutto quello che la circonda, vive un’esistenza avvelenata. E di Vladimir, un infermiere che arriva da Mosca e che ha scelto di prendersi cura di chi non possiede nulla. I due s’incontrano e tra di loro scoppia una passione bollente e accecante. Il sentimento che nasce sembra quasi poter fare da schermo al reale che li circonda. Ma un evento arriverà per cambiare tutto. Questa storia è ispirata a un fatto di cronaca.
Fuoco al cielo ci mostra una forza rara, ed è la forza che possiede la vera letteratura, quella di ammaliare e di rendere il lettore partecipe della storia. La scrittura di Viola Di grado è maestosa, prepotente, cruda. La sua maniera di narrare questa storia di emarginati e di sconfitti è meticolosa e brutale. Dalla pagina, la scrittrice non lascia fuori niente, facendoci entrare nella testa immagini e suoni e sensazioni e ambienti che ci infettano e ci stupiscono. Un romanzo che somiglia a un’immersione in una vasca di acqua ghiacciata, restituisce la sensazione di gelo e poi, subito dopo, c’è l’immediato sollievo che ci dona la voce narrante di questo conflitto di corpi e luoghi.
«Calava il sole, versava un buio rossastro sulle cose, lebraccia pallide e il campo incolto, le sterpaglie rinsecchite. Ibambini raccoglievano tesori dal fondale – granelli di terra, frammenti di piante, cose senza nome – se le tiravano addosso,finché non avevano le dita rugose e i capogiri. La madre di Tamara guardava dalla finestra, vestita di grigio, lavorava a maglia, non era brava, faceva maglioncini troppo piccoli e poi li buttava via, sollevava gli occhi stanchi e
rugosi verso sua figlia nel fiume e non diceva nulla.»
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Viola Di grado ci racconta ciò che dovrebbe essere nascosto agli occhi, ci fa sentire i suoni che nessuno dovrebbe ascoltare e ci mette davanti agli occhi le immagini di luoghi dimenticati; ci restituisce odori e sensazioni e sentimenti che sembrano appartenere a un'altra parte della storia, a una terra diversa, dove i miti e la spiritualità dilagavano a macchia d’olio.
«Il corpo è viscido, sottile, calloso. Non ha ombelico. Il torace è leggermente rotondo, come quello dei bambini, ma no, l’ombelico non c’è. Al posto delle orecchie ha piccoli buchi. Unnaso piccolo e schiacciato. Lunghe dita artigliate, ruvide, sospese nell’aria. Cominciano a muoversi, riflettono la luce, sembrano alghe molli che si agitano negli abissi. Tamara gli tocca piano la faccia con il dito. Al suo tocco ilcorpo oscilla e trema, come un’onda. Tamara si ritrae. Pensa:Avrà fame.»
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Esistono posti che sono persone ed esistono persone che hanno una geografia distorta delle emozioni. Esistono mappe emotive, a volte sono giuste, altre volte sbagliate, ed è lì, dove vive l’errore, che si confondono le coordinate e si mescola il bene con il male.
Per la prima foto, copyright: Peter John Maridable su Unsplash.
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