La forza del femminile in cinque storie
Marica, Cristina, Annarita, Valeria e Marisa: cinque donne che hanno trovato in Silvia Ferreri un'ascoltatrice attenta e rigorosa, che ha voluto dare voce alle ingiustizie che hanno subito da parte di un sistema e di un potere che spesso si traduce in un insieme di azioni contro l'essere umano.
Questo Silvia Ferreri ha voluto mettere in evidenza in Le cose giuste (Rizzoli), libro con il quale ritorna ai suoi lettori dopo il successo di La madre di Eva (Neo. Edizioni), finalista al Premio Strega 2018.
Cinque donne e altrettante storie per dare spazio a quella che Ferrei definisce forza del femminile.
Di questo e di molto altro abbiamo parlato con l'autrice.
Esistono davvero le cose giuste? E quali sono?
Sì, le cose giuste esistono. L’aspetto più complicato, e forse anche più interessante, è rappresentato dal percorso che ti porta a capire quali siano le cose giuste per te. Quando ti trovi di fronte a una scelta o a un dolore troppo grande, quando hai bisogno di capire cosa è bene fare, sei nel bel mezzo del percorso verso quello che tu pensi sia la cosa giusta, un percorso che può essere accidentato, in cui fai anche scelte sbagliate, in cui magari cambi strada, torni indietro. Come accade a una delle protagoniste: a un certo punto poteva vedere la strada che aveva imboccato e poteva vedere quella che non aveva preso alle sue spalle e decide di tornare indietro. Quindi le cose giuste esistono, ma esiste anche un lungo percorso per trovarle e, una volta trovate, per raggiungerle.
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Le cinque vicende intorno a cui ruota il libro si basano su altrettante storie vere. Come ha lavorato per trasformarle in materia narrativa?
Ho lavorato con queste cinque donne attraverso lunghissimi colloqui per diversi mesi, con alcune per telefono, con altre in presenza, prima della pandemia. Che però ci ha solo sfiorato negli ultimi colloqui perché prima eravamo piuttosto libere, poi è subentrato il tempo della scrittura. Come dicevo i colloqui durati molte ore, lunghi racconti che mi facevano dandomi la possibilità di entrare nei dettagli, di chiedere, indagare, seguire altri percorsi. È stato un lavoro di raccolta e di ascolto molto lungo e articolato prima della scrittura.
Chi sono queste donne? E cosa l’ha spinta a raccontare le loro storie?
Sono donne che hanno avuto delle vite incredibili, hanno affrontato nella loro quotidianità delle prove importanti davanti alle quali si sono trovate per puro caso, perché la vita a volte ci porta in certe direzioni e non percepiamo subito questo andare verso una sfida vera e propria. Sono donne che hanno avuto una sorte piuttosto difficile da gestire, sempre in relazione al binomio madre-figlio, che diventa il nocciolo della storia. Ho voluto raccontare queste storie proprio per il loro essere reali, quotidiane, perché stanno all'interno di paradossi istituzionali o di organizzazioni, e sono perciò frutto di grandi ingiustizie. Si tratta, come dicevo, di paradossi in cui si sono trovate davanti a muri, a leggi o regole che vanno davvero contro l'essere umano, e loro sono delle piccole donne che in qualche modo sono riuscite a cambiare le regole. Mi interessava appunto dare voce e spazio all'ingiustizia e a delle donne che sono molto vicine a noi e a storie che potremmo essere noi a vivere nella nostra quotidianità.
Alcune storie raccontano di donne alle prese con un sistema che è anche di potere. Penso a Marisa che si ritrova dapprima a dover scappare dalla ‘ndrangheta e poi a fare i conti con lo Stato e penso a Cristina e alla Chiesa. Da donna è più difficile interagire, affrontare e difendersi dal potere?
Non credo che per le donne sia più difficile difendersi dal potere. È vero che racconto di donne che sono state vittime del potere, ma lo sono state in quanto persone e non in quanto donne. Questo è importante dirlo.
È altrettanto vero che la reazione delle donne è diversa: io, che ho accolto le loro storie, mi rendevo conto che nei loro racconti a volte apparivano anche parte del resto della famiglia o il loro compagno, ma la forza di queste donne era incredibile rispetto a quella dei loro compagni nell'affrontare ingiustizie e abusi di potere che colpivano tutta la famiglia, ma soprattutto i figli. La donna, in questo caso, tira fuori un coraggio che, secondo me, fa parte del femminile. Non dico che sia un assoluto, ma io l'ho riscontrato e ritrovato come un denominatore in ogni storia.
Mi sembra che il motore di alcune scelte delle sue protagoniste sia stato il desiderio, pur declinato in varie concretizzazioni particolari. È questa la molla che le anima e le spinge oppure, a suo avviso, c’è anche altro?
Non credo che il motore sia il desiderio, ma in assoluto è la sopravvivenza, soprattutto quella dei figli, e la propria legata ai figli e alla vita di questi ultimi. Inseguivano forse il desiderio di sopravvivere o di vivere una vita senza tutto quel dolore che si trovavano ad affrontare. La difesa della vita è il motore, in questo senso.
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Cosa le hanno lasciato queste donne? E cosa pensa o spera di aver lasciato loro?
Mi hanno lasciato un grande senso di coraggio. Come madre, ho spesso dei momenti di crisi, in cui mi chiedo se sto facendo la cosa giusta, e ascoltare le loro storie è stato incredibile perché mi ha insegnato a relativizzare che quello che la maggior parte di noi vive sono piccole storie, piccoli inconvenienti, quasi un soffio giornaliero nel percorso della vita. Quindi sì, mi hanno insegnato a relativizzare, ma poi mi hanno sorpreso per il loro coraggio, mi hanno lasciato una grande forza e la certezza che quando il femminile si mette alla prova e cerca la forza riesce a trovarla.
Cosa penso di aver lasciato loro? Mah, questo non lo so. Penso di aver lasciato una grande attenzione per la loro storia, e forse questo a loro era mancato, un ascolto lungo, dialoghi, quest'empatia, quest'accogliere il dolore per raccontarlo. Spero che sia stato di grande importanza per loro, così come vedere la loro storia amplificata in una grande eco che diventa un libro di cui si parla finalmente. Credo che per loro sia stata una cosa importante.
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Per la prima foto, copyright: Mohamed Nohassi su Unsplash.
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