“La fonte della vita” di Bergsveinn Birgisson, tra viaggio esistenziale e scoperta di un mondo nuovo
Magnús Árelíus è un rampollo della società danese di fine Settecento ed è anche il protagonista del romanzo La fonte della vita di Bergsveinn Birgisson, edito da Iperborea nella traduzione di Silvia Cosimini.
Magnús Árelíus è un giovane molto ambizioso e accetta senza timori e dubbi l’incarico che gli viene affidato dal governo danese: partire per l’Islanda per studiare bene quella terra afflitta da troppo tempo da eruzioni vulcaniche, carestie e vaiolo e valutare di far traslocare – deportare sarebbe più corretto – la popolazione locale dall’isola, per condurla a Copenaghen e impiegarla nell’industria che si stava affermando sempre più. Il romanzo è ambientato nel XVIII secolo e l’illuminista Árelíus crede molto nella scienza accettando con orgoglio il viaggio, anzi lo vive come una vera e propria missione da compiere per portare la popolazione della mitica ultima Thule all’ordine e alla civiltà, o meglio quella che lui crede tale.
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Facile a dirsi un po’ meno a farsi,nel senso che durante l’esperienza di vita in Islanda il protagonista si troverà presto a confrontarsi con un mondo del tutto nuovo e sconosciuto, dove tutto il suo “sapere”, dimostrerà poco a poco di non essere di certo lo strumento fondamentale per la sopravvivenza ai fenomeni atmosferici, alla fame e alle malattie che falcidiano la popolazione.
Árelíus si scontrerà con mentalità, usi e costumi ben diversi dai suoi, forse molto più primitivi, ma fondamentali per la sussistenza quotidiana della popolazione islandese impegnata a convivere con una Natura che a tratti è Madre e in altri, come diceva Leopardi, è Matrigna.
Procedendo nella lettura emerge in modo sempre maggiore il forte contrasto tra il raffinato e cagionevole Magnús Árelíus e la popolazione locale che abita quelle terre estreme, al nord del globo terrestre, e che dimostra di essere molto legata alla superstizione e alle credenze popolari, a differenza del protagonista che pone la sua fede nei valori della scienza illuminista.
Il giovanotto resta comunque colpito e affascinato dagli islandesi e poco alla volta, attraverso una serie di diverse esperienze, la convivenza stretta con gli autoctoni e con la scoperta di sentimenti condivisi come l’amore, il rispetto, l’amicizia, la gioia e il dolore, ogni principio esistenziale appreso nella società danese verrà messo in discussione.
Il romanzo di Birgisson è un perfetto mix tra finzione e realtà, nel senso che alla base dell’intreccio narrativo ci sono elementi storiciche l’autore ha recuperato facendo vera e propria ricerca, come il fatto che verso la fine del Settecento ci furono davvero eruzioni vulcaniche devastanti. Altro elemento vero è la scoperta dell’esistenza reale di una lettera di un funzionario islandese che dava risposta al governo danese evidenziando come la deportazione della popolazione dall’Islanda alla Danimarca avrebbe causato in poco tempo l’estinzione degli islandesi.
Accanto a questa base storica ci sono poi le vicissitudini del protagonista che vanno a intrecciarsi con i personaggi che incontra sull’isola.
Magnús Árelíus è quindi una creatura letteraria nata dalla penna di Brigisson che mette nel suo protagonista un po’ tutte le caratteristiche di coloro che sostenevano la cultura illuminista e che fecero viaggi in giro per il mondo – pure in Islanda – catalogando in modo accurato tutto quello che vedevano, toccavano e conoscevano nelle terre sconosciute in fase di esplorazione. La fede e fiducia in quello in cui il danese crede è davvero grande, tanto da indurlo a volte a compiere degli errori madornali e a fraintendere la realtà con quella che non è, come quando vedendo ossa enormi, lui le considera ossa di giganti, mentre i nativi, definiti grezzi e non civilizzati, sanno bene che sono ossa di balena.
Piano piano il contatto diretto con gli islandesi, con i loro usi, modi di dire e fare, ma anche con i modi di vivere e di adattarsi a una Natura ostile, porterà la razionalità di Árelíus a entrare in contrasto con la dimensione selvaggia e primordiale che anima l’Islanda, per poi seguire un percorso di trasformazione e di cambiamento che rinnoverà l’io del protagonista.
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Il romanzo dello scrittore islandese, autore de Il vichingo nero, è la storia di un giovane che entrando in contatto con una cultura a tratti arcaica e spoglia di ogni tipo di contaminazione da convezioni o stereotipi sociali attua una profonda riflessione personale che lo condurrà a rivalutare in modo completo la scala dei principi con i quali è cresciuto.
La fonte della vita di Bergsveinn Birgisson però è anche un romanzo grazie al quel il lettore viaggia nel passato alla scoperta, da un lato, dell’orgoglio della gente d’Islanda per le proprie tradizioni, e dall’altra parte, alla percezione di atmosfere cupe, dovute ai soprusi determinati dal colonialismo con conseguente sfruttamento di uomini, di risorse e di territori non esplorati, dove il rispetto per il prossimo diverso da sé spesso è spesso sfociato nella sottomissione e nello sfruttamento.
Per la prima foto, copyright: Jon Flobrant su Unsplash.
Per la terza foto di Arne Skodvin, la fonte è qui.
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