La follia è una nota fra le altre. “Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” di Daniele Germani
Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri, il nuovo romanzo di Daniele Germani pubblicato da Spartaco edizioni nel 2019, affronta il tema della legge Basaglia. Ambientato a ridosso degli anni Ottanta, negli anni in cui la legge Basaglia chiude i manicomi (1978), il romanzo intreccia le storie di alcuni personaggi, l’uomo, la donna, il pazzo, il vecchio, il professore, in una composizione ritmica originale e lirica nella descrizione di paesaggi e stati d’animo. Il finale è sorprendente e la tematica psichiatrica è trattata con competenza e senza mai cadere nella retorica.
«Soprattutto aveva una domanda ben chiara: come eliminare la polvere e altri brutti pensieri?» La domanda. La domanda è sempre domanda d’amore e di riconoscimento dell’altro, un demandare, e quel rumore bianco interiore che ci guasta la vita è sempre un mancato riconoscimento altrui, dalla famiglia fino al contorno sociale. Il suo romanzo insiste molto sulla capacità del desiderio di donare la risposta risolutiva, che spesso, come lei denuncia benissimo, è delegata all’unica soluzione sbrigativa, «quella chimica che mi tiene assoggettato alla realtà che mi avete costruito intorno», che annienta il desiderio.Perché ha desiderato scrivere questo romanzo?
Perché ho desiderato scrivere questo romanzo? Questa è la domanda regina, quella a cui nessuno può rispondere in tutta la chiarezza che merita, ma non perché si voglia mentire, bensì perché la verità e la fantasia nelle intenzioni di uno scrittore si confondono sempre, e così si confondono realtà e aspettative. Non posso dare una risposta precisa, ma credo che si inizi a scrivere perché si vuole comunicare qualcosa. Tutti vogliamo comunicare con gli altri e tutti lo facciamo nel miglior modo che riteniamo possibile e accessibile, soprattutto. Gli artisti lo possono fare con l’arte, appunto. Chi sa suonare lo fa con la musica, chi sa dipingere con il disegno e così via. Io so scrivere, almeno a quanto mi hanno detto in molti, e allora uso questo strumento per poter esprimere ciò che sento.
Ma io non voglio spiegare la vita a nessuno, con i miei testi non pretendo di modificare le convinzioni di nessuno. Questo romanzo è stato scritto perché mi piaceva il titolo. Sono partito dal titolo e da lì ci ho costruito sopra la storia per intero. Sembra strano a dirsi, ma è accaduto lo stesso anche con il primo romanzo, Manuale di fisica e buone maniere. Il titolo deve essere la luce che illumina la trama e che devo cercare di scovare tra quelle sette o otto parole che lo compongono.
Ovviamente avevo in testa una certa idea e il titolo stesso è nato dal messaggio che avevo in mente di voler mandare, ovvero parlare degli emarginati, di chi è e sarà sempre ultimo. Nel mio primo, il Manuale, parlo di penultimi, ora mi sembrava giusto parlare di chi non avrà mai la possibilità di guardare alla vita con speranza.
La questione Basaglia poi mi ha sempre interessato Già prima di pensare alla stesura, mi ero molto informato su questo momento storico così importante. Insomma, sono arrivato già preparato al momento in cui mi è venuto in mente quel titolo così particolare e poi ho dovuto soltanto metterci dentro la storia.
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«L’odore di gelsomino è forte, prepotente, sembra occupare spazio e quasi come fumo denso invade aria e narici ed entra nei pensieri, li addolcisce, rendendo tutto più morbido, rilassante». Molto interessante è la reiterazione di questo giro di frase: ogni volta e in un senso particolare, ogni personaggio s’imbatte nella simbologia di questo fiore. Il gelsomino, e tutte le leggende di cui è protagonista, può esprimere innocenza, felicità, timidezza ma anche grazia e desiderio. Nel romanzo è un chiave che collega i personaggi, una funzione retorica: personaggi, si scoprirà, molto particolari. Come ha lavorato per renderli credibili e diversificati tra loro?
Il lavoro di diversificazione dei personaggi, almeno nel mio caso, avviene in maniera abbastanza naturale. Mi spiego meglio: quando si scrive ci sono varie tipologie di procedura. A volte è necessario definire i personaggi al meglio e nei dettagli fin dove è possibile, perché magari la trama è flessibile e i protagonisti sono il vero elemento portante della storia. Nel caso invece di Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri, la trama è stata pensata per tentare di veicolare un messaggio ben preciso che volevo comunicare e quindi aveva dei paletti decisamente fermi dai quali non potevo in alcun caso allontanarmi troppo.
Anche i personaggi erano definiti, ma non così tanto e ho potuto quindi giocare un po’ con le loro vite, le loro caratterizzazioni, con le varie storie verticali che ho reso funzionali alla trama stessa e non il contrario. È stato bello vivere con loro. Li ritengo tutti molto interessanti. Il personaggio al quale sono più legato è il medico che si incontra in pronto soccorso. Credo sia l’emblema del romanzo stesso. Un uomo intrappolato dai suoi errori in una stanza e dalle sue errate convinzioni di un mondo che ce l’ha con lui, mentre è esattamente vero il contrario. Purtroppo appare per poche pagine, ma prolungare la sua esistenza non sarebbe stato funzionale alla trama.
«Era un concerto di Georges Cziffra, che eseguiva quella che universalmente era riconosciuta come una delle composizioni più complesse mai scritte per pianoforte, la Toccata Opera 7 di Robert Schumann». Ho pensato di rileggere questo passaggio ascoltando Schumann. Il suo romanzo è costruito alternando le vicende di tre personaggi, l’uomo, la donna, il pazzo, e poi ci sono anche il vecchio e il professore. La musica non è solo presente materialmente, sotto forma di pianoforti o di citazioni musicali, ma anche nella metafora che associa il disagio mentale a una nota stonata. Poi dalla lettura dell’indice si evince una sorta di polifonia che alterna voci differenti in una sorta di fuga. Che rapporto esiste, secondo lei, tra la musica e la sua prosa?
Quella sulla musica è questione alla quale tengo molto. Durante la fase creativa e di composizione del testo, ascolto sempre musica, in particolare suonate di pianoforte. Non riesco a scrivere neanche una parola senza che un pianoforte che mi accompagni. Preferisco in assoluto Einaudi, ma anche altri autori come Satie, Bach, Beethoven etc.
Questo ascolto ininterrotto e senza soluzione di continuità per ore anche della stessa playlist mi porta a “inquinare” la scrittura con le note, le partiture e tutto quello che concerne il pianoforte. Anche nel mio primo romanzo il testo era profondamente influenzato dalla presenza della musica di Einaudi.
Questo sconfinamento ha delle ripercussioni ovvie sulla trama e sui protagonisti. Se non avessi questa necessità, probabilmente lei non si sarebbe mai avvicinata a quel negozio di musica e lui non avrebbe avuto la sua nota stonata. Insomma, è un dare-avere a tutti gli effetti, spero con effetti piacevoli per chi legge.
«Basaglia ancora non aveva scoperchiato alcun vaso, il tavolo dove tutto era fermo da più di quarant’anni non era ancora stato rovesciato ed ebbe modo di assistere a quello che accadeva lì dentro». La sua scrittura è a tratti onirica, è un linguaggio parlato dal sintomo, dall’inconscio forcluso, ma anche storia di sofferenze e di umanità derelitta, accenti lirici, a volte, paesaggi che dicono la sofferenza. Eppure v’è il discorso preciso sulla legge Basaglia, e sulle meccaniche psichiche e farmacologiche sottese alla cura. Come nasce un romanzo quando deve rispettare la legge della scientificità, della storia e allo stesso tempo della finzione narrativa?
Questa è una domanda eccellente alla quale non credo possa esistere una risposta comune a tutti gli scrittori. Dico questo perché chi scrive di solito non ha alcuna competenza scientifica riguardo l’argomento che tratterà e per questo si affida a esperti del settore che, in prima stesura, controllano la validità e la bontà dello scritto. O è quello che dovrebbe accadere; almeno è questa la mia linea di condotta. Ho sottoposto il mio testo in fase di stesura a due esperti nel settore della chimica e degli esplosivi e a uno psichiatra che, dopo aver letto e consigliatemi le dovute correzioni, hanno dato il via libera al testo.
Quando si scrive una storia dove si sa già che si andrà a invadere campi dove non si ha esperienza, si deve sempre accettare il rischio che la trama non reggerà, che dovrà essere modificata perché magari i personaggi non possono fare quella cosa che porterà a un successivo step della storia, per questo bisogna studiare molto l’argomento prima di affrontarlo e scriverne.
«Siete sempre più soli e sarete sempre più isolati, dietro alle vostre strane tecnologie, alla musica sparata dentro le orecchie, imprigionata nella vostra disattenta concentrazione». Il romanzo racconta anche una società che da un certo punto in poi si è impantanata nell’individualismo più esasperante, vi si oppone la visione di un suo personaggio: «Chi fa arte la fa per tutti». Alla folle velocità dell’iperproduzione materialistica obietta la lentezza dei processi psichici, ancora di più quando vengono sedati, meccanismi soggettivi che cozzano con i tempi strettissimi della produzione commerciale: dunque velocità contro lentezza. La sua letteratura da che parte sta?
Devo dire che i miei personaggi, sia del primo sia di questo secondo romanzo, vivono in altre epoche, prendono treni e non aerei, anche se potrebbero, non usano i forni a microonde perché ne hanno timore, hanno paura della velocità delle automobili e si perdono in lunghe e lente passeggiate in parchi e periferie labirintiche.
I miei personaggi non sono autobiografici nelle azioni che intraprendono, ma lo sono sicuramente nelle loro sfumature, che cerco di rendere indispensabili all’economia della storia stessa.
L’iperproduzione materialistica c’è sempre stata ed è sempre stata rapportata all’epoca di riferimento, ma quando scrivo amo che i miei personaggi respirino, che si sentano liberi e sganciati dalla commercializzazione di qualsiasi oggetto e prodotto, anche fosse artistico, con il quale si trovano a contatto.
Vorrei precisare che questo processo non avviene a tavolino, o almeno non del tutto. Scrivo di alcune tipologie di persone e mi viene abbastanza naturale la loro caratterizzazione come ho scritto poco fa; la mia letteratura quindi sta dalla parte di chi ha un po’ paura di quello che gli può accadere affrontando la tecnologia dell’epoca in cui vive.
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«Ricordatevi però che quel Pazzo aveva ragione: io sono Pazzo solo perché siete voi a voler essere sani». Lei è stato in grado di costruire un intreccio con un finale che sorprende, non solo per una questione di stile che garantisce la tenuta della storia, ma proprio per un aspetto filosofico molto indagato dagli scrittori: la differenza tra vero e falso, tra sogno e reale, e in questo caso tra follia e normalità. La grammatica mentale di uno scrittore ha delle differenze sostanziali rispetto a quella di chi non ama né leggere né scrivere?
Io non credo. Cerco di spiegarmi meglio. La grammatica mentale è un aspetto della fantasia che ognuno di noi, chi più e chi meno, possiede. Leggere e scrivere può accentuare o meno e allenare o atrofizzare la capacità di scrivere, ma è una capacità che si ha innata. C’è chi è portato per fare i conti a memoria, chi ha nella manualità la sua naturale predisposizione e via dicendo. Io non ho la benché minima manualità e se devo fare dei lavori in casa, posso allenarmi quanto voglio, ma cambiare una maniglia alla porta o stuccare un muro crepato per me resterà sempre un impegno quasi insormontabile.
Chi invece ha la capacità innata di scrivere, con la lettura e la scrittura può arrivare a perfezionare quest’aspetto, che dovrà essere però accompagnato dal talento. Uno scrittore scrive perché ha talento che con la fantasia crea un connubio perfetto. Quindi, per concludere, non è importante leggere o scrivere per essere uno scrittore, ma bisogna avere le capacità innate. Poi quali sono queste capacità, beh è difficile da stabilire. Chi ha una mente più analitica magari scriverà un thriller, chi invece è più romantico scriverà un romanzo d’amore.
Il leggere o lo scrivere sono l’acqua con la quale si innaffia il seme del talento. Io non so se questo talento sia grande o meno, solo il tempo lo dirà, ma posso dirti che da quando scrivo leggo molto meno e per due motivi. Ho molto poco tempo, tra il lavoro e la famiglia, avendo anche una bambina piccola, e soprattutto perché ho notato che sono troppo influenzato dagli scrittori che amo e questo aspetto credo limiti molto la naturale evoluzione della mia creatività.
Per la prima foto, copyright: Paolo Nicolello su Unsplash.
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