La fatica è un elemento essenziale dell’esistenza. “La seconda legge di Mendel” di Barbara Boggio
Le leggi di Mendel sull’ereditarietà descrivono la trasmissione dei caratteri da una generazione all’altra. Quando la paura di essere come chi ci ha generato diventa ossessione, ci si rifugia nella scienza; l’animo umano però, non segue nessuna legge scientifica.
La seconda legge di Mendel(Divergenze, dicembre 2020) è il romanzo breve che racconta l’adolescenza attraverso gli occhi di Jordan, il ragazzino sedicenne che la vive in prima persona, della mamma Daniela, del suo compagno Cristian e della loro figlioletta Anna che cerca in ogni modo di comprendere il fratello maggiore nonostante ogni sua azione sia incomprensibile per lei.
«La sintesi della mia famiglia: un’isola di un arcipelago in un mare di incomunicabilità. In quell’arcipelago, nel tempo, sono emersi isolotti, fra i quali io, mamma e papà. Poi Cristian, che è arrivato dopo papà e Anna, mia sorella. L’ultima ad affiorare.»
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Barbara Boggio, educatrice e pedagogista che ha trascorso gli ultimi vent’anni a seguire bambini, ragazzi e famiglie in situazioni di fragilità, rivela la delicatezza degli anni in cui si cerca di trovare la propria identità, in cui si cerca di capire chi siamo e cosa siamo destinati a essere; racconta la rabbia dell’impotenza, la fatica di essere adolescenti che si confrontano con il mondo che li circonda e la fatica di chi gli adolescenti cerca di crescerli, guidarli fuori dal groviglio di emozioni, sensazioni e sentimenti che affollano e, a volte annebbiano, le loro giovani menti. Le difficoltà di chi cerca di colmare quella distanza naturale che i ragazzini in cerca della propria identità iniziano a mettere tra loro e gli adulti, senza essere invadenti; la strada, tutta in salita, di chi – incomprensibilmente agli occhi di molti – cerca conquistare il cuore di un ragazzino che sente figlio, anche se non lo è biologicamente, anche se non sono i caratteri ereditari a renderlo tale.
Viaggio rocambolesco di una famiglia “allargata” – è di moda chiamarla così, chissà poi perché. Una famiglia è una famiglia; affrontano tutte le stesse gioie e gli stessi dolori, indipendentemente da chi le compone. – che si fa strada e cerca (e crea) speranze per il proprio futuro.
«Lui non ha bisogno di tatuarsi il nome della figlia per ricordarsi di essere padre. Gli sguardi sono importanti e loro si rendono conto che noi capiamo già da come ci guardano. Mio padre mi guardava, ma senza vedermi davvero. Senza vedere di cosa avevo bisogno, tanto era preso con i suoi, di bisogni.»
Con cura quasi materna l’autrice descrive ogni personaggio in maniera completa, pregi e difetti, gioie e dolori. Una straordinaria abilità che permette al lettore di addentrarsi nella storia, sentirsi parte della famiglia, non prendere la parti di un singolo personaggio ma sentirli tutti.
Sebbene dal titolo possa sembrare che ci si concentri sull’ereditarietà dei tratti distintivi che caratterizzano una famiglia, in realtà si indaga sull’individualità di ciascun elemento che la compone, sulla loro evoluzione e sul loro modo di affrontare il cambiamento, renderlo possibile e aprire le porte alla speranza.
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Nessuna straordinaria rivelazione scientifica, semplicemente un libro che racconta la vita quotidiana, che svela una verità tanto banale quanto difficile da comprendere: la fatica è un elemento essenziale dell’esistenza. Senza di essa non comprenderemmo il benessere e non saremmo in grado di gioirne.
«Non riuscivo a capire come si potesse stare meglio facendo tanta fatica. Mamma poi m’ha spiegato che la fatica è necessaria per apprezzare la sensazione di benessere che ne deriva, come nella via bisogna traversare la sofferenza per godere della gioia. Ecco, lei ha smesso di correre più o meno quando ha cominciato a frequentare Cristian. Aveva finalmente messo ordine, diceva, e io non ero sicuro di capire. Però il suo sorriso, e quella calma nuova, mi piacevano; nel suo abbraccio mi sentivo sempre più confortato, e mi sono convinto che avesse davvero corso abbastanza veloce da lasciare indietro quello che non andava.»
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