La drammatica storia di una ragazza interrotta
Una ragazza lasciata a metà di Eimear McBride (Safarà Editore, traduzione di Riccardo Duranti) è un libro particolare. “A metà” è un'espressione più che adatta per descrivere lo stile del romanzo, frammentario, discontinuo, un incessante flusso di coscienza che tanto ricorda i grandi romanzi di James Joyce (la McBride, infatti, ha affermato che tra le sue fonti d'ispirazione c'è Ulisse, una delle opere più note dello scrittore irlandese).
Potete già intuire che Una ragazza lasciata a metà non è una lettura facile. In realtà, tutto dipende da come ci si approccia al testo, poiché è importante avere la consapevolezza che si tratta di un libro che richiede uno sforzo di concentrazione maggiore rispetto a un romanzo più lineare. Affrontata dalla giusta prospettiva, l'opera della McBride risulta infine affascinante e, più si prosegue nella lettura, più si entra in sintonia con le amarezze e le frustrazioni della protagonista, fino a sentirle dolorosamente nostre. La McBride ritrae il caos interiore vissuto da quest'ultima trasferendo tale disordine e disequilibrio anche nella scrittura: d'altro canto, i flussi di coscienza sono per l'appunto così, sembrano mancare di logica proprio perché costituiscono la somma di tutti i pensieri umani e si presentano senza filtri razionali, una massa informe di emozioni e sentimenti.
La nostra narratrice, la “ragazza lasciata a metà'”, vive un conflitto intimo che, all'esterno, si traduce in continue contraddizioni, soprattutto per quanto riguarda la sfera sessuale. La ragazza trascorre una difficile adolescenza con la madre ‒ cattolica osservante ‒ e il fratello maggiore, il quale per tutta la vita deve convivere con lo spettro del cancro. Già da giovanissima, la protagonista si concede a un numero imprecisato di uomini, una pulsione che, pagina dopo pagina, assume sempre più la forma di una nevrosi. Scopriamo così che è stata stuprata dallo zio, un rapporto malato che proseguirà in età adulta, fra ossessioni e violenze. Non basta nemmeno il trasferimento in città, l'allontanamento da tutto e da tutti, per voltare pagina. Perché c'è un blocco che l'ha colpita, quel qualcosa di oscuro e oppressivo che le impedisce di maturare, di andare avanti, di essere completa.
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Tutta l'asprezza del romanzo trova la sua espressione nel linguaggio della protagonista e nella sua incapacità di dare forma ai suoi pensieri. Non a caso i discorsi diretti non sono chiusi tra virgolette ma integrati nell'incessante e caotico flusso di coscienza della narratrice, la quale non riesce mai a dare un senso a una frase, al tentativo di raccontarsi all'esterno (tale dramma è reso ancora più accentuato dai continui riferimenti religiosi presenti nel testo, preghiere che s'intrufolano nelle riflessioni confuse della giovane).
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Nella tragedia personale della protagonista si inserisce anche il rapporto con il fratello, da cui si è allontanata nel corsonegli anni: da una parte c'è la narratrice, la quale, dopo il diploma, riesce ad andarsene dal paese, dove era diventata l'oggetto dei pettegolezzi a causa delle sue avventure; dall'altra, c'è questo fratello non molto intelligente (probabilmente proprio a causa di quel male che lo accompagnerà per tutta la vita), il quale non riesce né a diplomarsi né a realizzare alcuna aspirazione professionale.
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Con questo libro, scritto a ventisette anni, l'autrice è riuscita a stregare i lettori inglesi e americani, aggiudicandosi una serie di premi (tra cui il Bailey Women's Prize for Fiction e il Kerry Group Irish Novel of the Year Award) e diventando un piccolo caso letterario, capace di andare oltre i confini nazionali. Per quanto riguarda l'edizione italiana, è da evidenziare l'ottimo lavoro di traduzione di Duranti, abilissimo nel riportare la frammentarietà linguistica e sintattica del testo di partenza, con protagonista questa “ragazza lasciata a metà”, del tutto incapace di trovare pace e un senso compiuto alla sua esistenza.
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